
Pierluigi Stefano
Firenze, 17 marzo 2016 - Pierluigi Stefàno, chirurgo e primario della cardiochirurgia di Careggi, è indagato dalla procura di Firenze per le morti di due pazienti e per alcuni interventi, effettuati in regime di intramoenia ingannando - secondo le ipotesi della procura – i pazienti sui reali tempi di attesa a cui sarebbero andati incontro. Il pm, Luigi Bocciolini, che ha coordinato il lavoro dei carabinieri del Nas, ha appena notificato al chirurgo l’avviso di conclusioni delle indagini. Probabile che Stefàno si faccia interrogare: è una sua facoltà in questo limbo che precede, con ogni probabilità, la richiesta di rinvio a giudizio nei suoi confronti.
"Sono tranquillo, ho fatto tutto quello che dovevo fare – dice il chiurgo –. Eseguo 1500 interventi all’anno e con una libera professione ai minimi storici di Careggi. Lavoro con scienza e coscienza dalla mattina alla sera, penso di dare un servizio importante alla salute della Toscana". Stefàno approda a Careggi nel 2000 dopo uno scandalo che travolse la cardiochirurgia. Lui, un esterno – arrivava da Milano – era stato chiamato per voltare pagina: con la sua tecnica innovativa in breve tempo ha elevato la cardiochirurgia fiorentina ad eccellenza nazionale. E’ vero: per farsi operare da Stefàno c’è la fila. Ma non era così lunga, secondo le indagini della procura, nel primo quadrimestre del 2012, quando, nonostante le sollecitazioni del cardiologo di Borgo San Lorenzo che aveva in cura il paziente Piero Guidotti, Stefàno (che aveva lui stesso classificato in un mese la tempistica d’intervento necessaria) non effettuò mai l’operazione. A maggio, il Guidotti morì, 3 mesi e 18 giorni dopo quella visita. E’ un "ingiustificato ritardo", secondo il pm, anche quello costato la vita a Maria Francesca Cellamare: 5 mesi e 23 giorni dalla visita (sempre effetuata da Stefàno) che indicava un’urgenza da espletare entro due mesi.
A sostegno delle tesi della procura, una consulenza che ha comparato l’urgenza clinica dei due pazienti e i tempi d’attesa in lista: se l’intervento fosse avvenuto nei tempi ipotizzati, dicono i periti, non ci sarebbero stati i decessi. La procura contesta a Stefàno anche la truffa e l’abuso d’ufficio. Secondo quanto ricostruito, il primario avrebbe utilizzato "l’artificio per raggirare pazienti in evidente condizione di debolezza psichica, comunicando loro, contrariamente al vero ed inducendoli così in erore, l’esistenza di una lunga lista d’attesa per l’esecuzione dell’intervento richiesto". Così, i pazienti optavano per l’intervento in libera professione, al costo di circa 29mila euro, di cui 12mila di onorario per il re del bisturi. La procura ha ricostruito una quindicina di casi.