Carlo Fusaro
La consigliera regionale Cristina Giachi si preoccupa del destino dei partiti (e in particolare del Pd, di cui fo parte anch’io): fa bene, e non è la sola. Peccato che gli argomenti del suo articolo sulle primarie (che “devono avere dei presupposti”, dice il titolo) costituiscano l’involontaria dimostrazione del perché i partiti sono in crisi e del perché la fiducia dei cittadini in essi vada costantemente riducendosi. Infatti il primo requisito per un partito e una classe dirigente degni di questo nome dovrebbe essere mantenere gli impegni, rispettare i patti assunti davanti a iscritti e simpatizzanti e naturalmente obbedire al proprio statuto. Ora lo sanno anche i sassi che il Pd ha fatto delle primarie uno degli elementi caratterizzanti della propria identità. E infatti su questo sia lo Statuto nazionale sia lo Statuto regionale sono chiarissimi. La professoressa Giachi non li ha letti bene: anzi, trattandosi di una giurista, non deve averli letti affatto perché nel suo articolo sostiene esattamente il contrario.
Dice Giachi che le primarie "sono uno strumento di selezione dei candidati previsto dallo statuto del Pd quando l’assemblea non decida di scegliere con diverse modalità". Beh, non è così. A parte che, non senza enfasi, lo Statuto Pd Toscana dice che "il Pd assume le primarie come elemento costitutivo della propria rappresentanza e della propria proposta politica", entrambi gli Statuti prevedono le primarie non come possibilità, ma come “il” metodo per scegliere le candidature a sindaco e a presidente di Regione. Disciplinano poi eventuali “deroghe”: se c’è una sola candidata (non sembra il caso di Firenze), se vi sono circostanze “assolutamente eccezionali” (quali nel nostro caso?) e se così si è concordato con gli alleati di coalizione (che a Firenze, al momento, non c’è). Solo in questi casi, l’assemblea dei delegati, a maggioranza qualificata (35), può derogare e non fare la primaria. Quei dirigenti fiorentini del Pd , come Giachi, non possono affatto demandare, come pare vogliano, la decisione a un’assemblea che non ne ha, oggi, la competenza. Soprattutto, non possono trasformare la regola in eccezione e l’eccezione in regola. Dopo di che, le preoccupazioni sulla sorte dei partiti e del loro ruolo, son lacrime di coccodrillo dietro cui si nasconde il classico "non disturbare il manovratore" degno della Prima Repubblica.