Firenze, 25 novembre 2023 – È uscita ieri dall’aula 9 del tribunale di Firenze con le lacrime agli occhi e il sorriso sulla bocca. E con la forza di una leonessa ha abbracciato la sua famiglia, accarezzato il viso della madre e baciato le guance del padre. Alle sue spalle il giudice per le udienze preliminari Antonella Zatini ha appena finito di leggera la sentenza di primo grado che condanna i due giovani (già maggiorenni) che nell’estate del 2020 hanno abusato di lei (all’epoca dei fatti 17enne) in un vicolo in pieno centro di Pistoia.
La pena è stata di 3 anni e 2 mesi per uno e di 2 anni 4 mesi per l’altro, mentre il processo è stato celebrato con la formula alternativa del rito abbreviato. Ayla Astore, fiorentina di 20anni residente a Pistoia, è stanca di nascondersi, vuole che a margine della sua storia ci sia un nome e un volto. "Lo faccio per tutte le donne", scandisce a testa alta poco prima di entrare in aula. Accanto, al banco degli imputati, ci sono anche i due ragazzi di Pistoia: a testa bassa, però, e con le mani nascoste nel giacchetto.
"Tutto è iniziato con un bacio consensuale – esordisce Ayla – e si è trasformato nel mio peggiore incubo". Quella notte uno dei due imputati si era appartato con la minore in un vicolo del centro storico. L’amico si sarebbe aggiunto in un secondo momento. "Mi hanno ingannata – spiega la ragazza –, avevano escogitato tutto nonostante i miei continui rifiuti. E poi mi hanno violentato, anche se io ripetevo più volte e con chiarezza la parola basta".
Il grido di Ayla non basta, i due non si fermano, e alla fine, mentre la giovane è ancora a terra e senza vestiti, girano un video con il telefonino. "Mi sentivo del tutto paralizzata – continua la 20enne –, non riuscivo a muovermi, a parlare: ho finto di avere un mancamento, per salvarmi e cercare di mettere fine a quel dolore". Ha la voce ferma e adulta, non risparmia dettagli Ayla, vuole che ogni sua sensazione sia messa nero su bianco, affinché nelle sue parole un’altra donna possa trovare il coraggio di denunciare, uscire allo scoperto e prendere di nuovo in mano la sua vita. "Non è facile parlare di una cosa del genere – spiega ancora –, ho impiegato tre mesi per dirlo ai miei genitori: mi sentivo vuota e sporca, avevo un velo di dolore che non riuscivo a scrollarmi di dosso. Pronunciare quello che mi è successo a voce alta mi ha fatto però capire che non ero io quella sbagliata".
C’è una lezione non detta nelle sue parole: Ayla sa che non tutte le donne reagiscono allo stesso modo, e un manuale d’istruzione per superare questi momenti non esiste. Un consiglio però ci tiene a darlo: "Il più grande appello che voglio fare alle donne è quello di parlare, perché è l’unico modo per riuscire a salvarsi – dice la ragazza –. Fate rumore, incazzatevi, urlate perché, citando Michela Murgia, ’di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva (e bisogna solo ascoltarle)’".