
Oriana Fallaci
di GIGI PAOLI
Firenze, 27 febbraio 2015 - «La firma ‘Oriana Fallaci’, apposta sul testamento datato 21 agosto 2006 redatto negli Stati Uniti, all’esame diretto non presenta alcun segno di artificiosità compositiva, ma rivela semplicemente instabilità nell’assetto grafomotorio ed esecuzione con mano controllata». E pertanto: «Le analisi particolareggiate di confronto, fra il tracciato grafico della firma testamentaria in verifica e i tracciati grafici delle scritture e delle firme di comparazione della signora Oriana Fallaci, mettono in chiara evidenza concordanze qualitativamente sostanziali del grafismo, nonché innumerevoli corrispondenze di natura strutturale, le quali determinano, con inequivocabile chiarezza, che la firma Oriana Fallaci apposta sul testamento è autografa, ossia proviene dalla mano della predetta signora». Per la procura della Repubblica, la guerra sul testamento e sull’eredità di Oriana Fallaci finisce qui. In queste ore, alle parti in causa, viene infatti notificata la richiesta di archiviazione dell’inchiesta che porta la firma del procuratore aggiunto Giuliano Giambartolomei, coordinatore di quest’ultima indagine prima di andare in pensione.
Oriana Fallaci muore a Santa Chiara, la clinica di piazza Indipendenza, il 16 settembre 2006. Dopo pochi mesi il suo testamento diventa l’oggetto di una durissima battaglia legale tra il nipote Edoardo Perazzi - nominato erede universale - e la di lui madre, nonché sorella di Oriana, Paola Fallaci, con la quale si schiera l’altro figlio Antonio. I due partono all’attacco presentando un esposto attraverso gli avvocati Francesco Brizzi, Mario Taddeucci Sassolini e Filippo Bellagamba. La procura apre un’inchiesta ed Edoardo, difeso dall’avvocato Filippo Cei, viene iscritto nel registro degli indagati: l’ipotesi è che la firma di Oriana sul testamento fosse falsa perché, si legge nell’esposto, la giornalista era già gravemente malata.
Lo scontro legale si trasforma anche in una guerra fra consulenti grafologi. Se infatti la prima perizia grafologica d’ufficio, disposta dal gip Pezzuti, dà ragione al nipote, valutando per la piena bontà della firma, di tutt’altro avviso sono i periti della procura e dei familiari che si contrappongono a Edoardo. Così, a causa di queste incongruenze, il procuratore aggiunto Giambartolomei chiede e ottiene dal gip la rinnovazione della perizia, stavolta collegiale. In tre – un oncologo, un radiologo e un oftalmologo – concludono che lo stato del tumore, che pochi giorni dopo causò il decesso della scrittrice, non era tale da interferire con i suoi movimenti e non aveva provocato conseguenze neurologiche tali da impedirle di scrivere. A sostegno della tesi difensiva, poi, anche le dichiarazioni di un medico, amica della giornalista, riportate nella richiesta di archiviazione: la Fallaci poteva firmare «perché fino al decesso non presentava deficit motori né tremori».