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La palazzina a Rufina dove abita la famiglia Innocenti. Il tentativo di suicidio è avvenuto dal balcone al secondo piano
di Teresa Scarcella
"Non ci possiamo credere". Il cielo è nuvoloso sopra Rufina, quello di un sabato mattina uggioso che fa fatica a prendere il via. Ieri il risveglio del piccolo paese della Valdisieve è stato brusco e triste, a buttare giù dal letto è stato il rumore delle eliche del Pegaso, arrivato a soccorrere Lorenzo Innocenti, architetto di 37 anni, lanciatosi dalla terrazza di casa dopo aver colpito a morte con sette coltellate la compagna, Eleonora Guidi, di 34, mentre il figlio di un anno e mezzo ancora dormiva. Il viavai dei soccorsi, delle auto dei carabinieri prima, della scientifica poi, hanno inevitalmente catturato l’attenzione dei residenti del quartiere, una zona di artigiani, costellata da villette a schiera, dove ci si conosce tutti, quantomeno di vista. Dove il saluto e le domande di rito sono all’ordine del giorno. Alle 7.30 di sabato mattina i negozi e le attività commerciali hanno le serrande abbassate e molte rimarranno tali per tutta la giornata. Il silenzio fa da padrone in quelle vie dai nomi altisonanti.
C’è chi però è mattutino e nonostante la foschia esce a fare due passi, chi porta a spasso il cane con in viso ancora i segni del sonno. Ma non è un sabato qualunque. Si capisce subito dalle gazzelle dei carabinieri ferme di fronte alla palazzina al numero 7 di via Pavese, dagli uomini con gli scafandri bianchi che entrano ed escono dal portone; dalla disperazione negli occhi dei familiari della giovane coppia che viveva lì.
In quell’edificio su due piani, in via di ristrutturazione, con i muri di un verde pastello che di prepotenza si distingue in mezzo al resto. Eppure, al di là di quelle pareti dal colore tenue, prevale il buio pesto. Oltre quelle finestre, si è consumato l’ennesimo femminicidio, "insospettabile, imprevedibile" secondo i vicini che, piano piano, si radunano sotto la casa dell’orrore. Lì, accanto al padre e al fratello del 37enne, c’è anche il sindaco di Rufina, Daniele Venturi. Arrivato non appena ha saputo cosa fosse successo a pochi metri dalla sua abitazione, a quella famiglia che lui conosce bene. "Ho sentito il Pegaso e poi sono stato contattato - racconta - Sono sconvolto. In paese ci si conosce tutti, conoscevo entrambi e le loro famiglie. Persone perbene, ragazzi tranquilli. Non c’era assolutamente nessuna avvisaglia, quando si sente dire questa frase in televisione a volte non ci si crede, invece poi ci si ritrova nella stessa situazione".
Tra i suoi cittadini c’è chi si informa chiedendo ai conoscenti, scaturendo un dibattito sui potenziali motivi di quel crudele gesto. Ma nessuno riesce proprio a darsi una spiegazione, tutti fanno fatica a credere che sia accaduto sotto i loro nasi, a quella coppia a loro avviso così "tranquilla, normalissima".
Ragazzi cresciuti a Rufina e rimasti lì, diventati genitori da un anno e mezzo, che ogni tanto si vedevano per strada con il cane al guinzaglio e il piccolo nel passeggino. "Siamo tutti senza parole - dicono gli abitanti -. Una tragedia, inspiegabile. Non capiamo come sia possibile, non osiamo immaginare il dolore dei genitori. Non li abbiamo mai sentiti litigare".
I più giovani, più o meno coetanei della vittima e del suo assassino, si rimbalzano le informazioni da una chat all’altra, sconvolti. "Nemmeno due settimane fa erano a fare un aperitivo insieme, sembravano felici - racconta una ragazza - non ho proprio idea di cosa possa essere successo". Eppure, dietro quella serenità percepita e raccontata da chi li conosceva solo in modo superficiale, una spiegazione deve pur esserci. Le domande e i commenti, lasciano nuovamente spazio al silenzio quando il piccolo, infagottato in una coperta, viene portato via da quella casa, tra le braccia di una parente. Mentre occhi e telecamere fissano l’asfalto.