di Emanuele Baldi
"Salve, Salvino! In una Firenze che culturalmente spara a salve, tu ci salvi. Folle San Salvi". Nessun delirio, solo un gioco di parole di qualche tempo per raccontare l’eccezionalità di questa enclave del Campo di Marte, non stiamo a ridire il nome, che ha sempre fatto storia a sé, una ’Libera repubblica’ come la chiama Claudio Ascoli, padre dei Chille de la Balanza che da oltre vent’anni nel parco dell’ ex-città manicomio ha messo in piedi il suo quartier generale artistico.
San Salvi è sia spazio che concetto, una specie di regione a statuto speciale incastrata nella città e chiusa da un cancello a due passi dal cavalcavia di piazza Alberti. Sinonimo per generazioni intere del ’luogo dei matti’ con ’i tetti rossi’ è oggi una zona in stand by, fra tasselli di modernità e fantasmi del passato.
Ci abbiamo fatto un salto all’indomani del sopralluogo del sindaco e della sua giunta intenzionati a farsi venire qualche idea dopo che per anni nessuno le ha mai avute troppo chiare sul futuro da disegnare da queste parti. Le ebbero, in compenso, 120 anni fa, quando l’area fu concepita.
E’ del 1891 infatti l’inaugurazione dell’ospedale psichiatrico, intitolato dal 1924 a Vincenzo Chiarugi, pioniere della psichiatria moderna. La costruzione del complesso era iniziata nel 1887 su progetto dell’architetto Giacomo Roster secondo l’idea innovativa di Chiarugi per cui il ’folle’ doveva vivere in un ambiente ordinato che si opponesse alla malattia mentale intesa come ’disordine’ delle passioni. Il villaggio, con vasto parco alberato chiuso dal muro di cinta, ospitava le strutture ospedaliere, la direzione e i servizi.
I padiglioni dei malati, uomini e donne, erano separati, ma collegati da corridoi terrazzati e gallerie sotterranee; officine, spazi per le attività ricreative e una colonia agricola ne facevano un microcosmo autosufficiente. Nel 1978 è poi iniziata la chiusura del manicomio, conclusasi a fine anni ’90.
Alcuni edifici oggi hanno trovato nuova destinazione, mentre l’Azienda Usl Toscana. E infatti al primo impatto si ha l’impressione di entrare in un grande distretto sanitario ordinato e arioso. Non è così, o meglio lo è solo nella parte del complesso rimessa in sesto. Lo spazio è gigantesco: quaranta edifici – tra questi anche la scuola Andrea Del Sarto – spalmati in 32 ettari. L’area si percorre in macchina, attenti a non dare troppo gas e l’occhio non può non cadere subito nel serpentone di murales disegnati lungo la ferrovia che corre di lato al parco.
Alla prima grande curva, arrivano le prime grandi grane. Due enormi edifici abbandonati, un tempo ’casa’ di un gruppo di anarchici piuttosto ostinati, dove dentro in teoria potrebbe esserci di tutto. Diamo un’occhiata: ferraglia, cocci di bottiglia, montagne di sporco, buste di plastica, avanzi di vecchi banchetti marciti nel fango, scale a pezzi. Topi, senz’altro.
La sensazione di decadenza s’imprime sotto pelle così come l’umido che qui divora tutto il divorabile. Slogan e bestemmie sui muri fanno da cornice al degrado con la D che maiuscola come qui non c’è da altre parti in città anche perché inciampare in un cerchione o in un televisore vecchio di vent’anni non è roba di tutti i giorni.
Continuiamo nell’anello e ritorniamo alla ’civiltà’ con il bar sociale a due passi dal mini circuito di Vigilandia dove i bambini imparano cos’è uno stop. Un altro minuto e risbuchiamo al cancellone d’uscita. Folle San Salvi che ancora, dopo una vita, non hai trovato il tuo equilibrio.