di Stefano Cecchi
"Ma perché non lui? Torna tutto". Era la primavera del 1991 e gli agenti della Sam, la squadra anti Mostro, ebbero un sobbalzo: tutti gli indizi incrociati al computer indicavano come quell’agricoltore violento di Mercatale val di Pesa, a quel tempo in carcere per le violenze compiute su due figlie minorenni, avesse i requisiti per essere l’assassino di 8 coppie uccise nella provincia fiorentina. Sì, 30 anni fa proprio in questi giorni, la figura di Pietro Pacciani irruppe nell’inchiesta sugli omicidi del Mostro, monopolizzandone da allora in poi la scena. Una svolta epocale. Fino ad allora infatti le indagini dei carabinieri per individuare l’omicida avevano seguito la cosiddetta pista sarda. Grazie a una lettera anonima si era infatti scoperto che la pistola usata in un delitto del ‘68 a Signa, delitto sicuramente riconducibile a un gruppo di sardi che abitava nella zona, era la stessa che il Mostro usava per uccidere le giovane coppie sorprese ad amoreggiare in auto. Per questo nel tempo erano finiti in carcere vari personaggi del gruppo, da Salvatore Vinci al fratello Francesco, da Giovanni Mele a Piero Mucciarini.
Solo che ogni volta che uno di costoro era dietro le sbarre, il Mostro uccideva di nuovo, consegnando loro un alibi di ferro. Così nel dicembre del 1989 al giudice Mario Rotella con un’ordinanza-sentenza non restò che mettere fine alla pista sarda. Un anno e mezzo dopo, l’arrivo sulla scena di Pacciani cambiò per sempre la storia del Mostro. Nato a Vicchio nel 1925, ex partigiano detto il Vampa per il carattere irascibile e, pare, per i trascorsi da mangiafuoco nelle fiere di paese, Pacciani aveva già conosciuto il carcere per un omicidio compiuto nel 1951. In quel tempo aveva sorpreso in un campo l’allora fidanzata quindicenne Miranda Bugli con un altro uomo e ,dopo aver ucciso a coltellate il rivale, l’aveva costretta ad avere un rapporto sessuale accanto al cadavere. Una belva inumana, Pacciani. Che però venne condannato a soli 13 anni per l’attenuante della gelosia.
A notarlo oggi è mostruoso anche questo. Che il Vampa potesse comunque avere a che fare col Mostro, qualcuno lo aveva sospettato già nel 1985 quando, due giorni dopo il delitto degli Scopeti, ai carabinieri di San Casciano era arrivata una lettera anonima: "Indagate su di lui, è un violento scarpe grosse e cervello fino". A scriverla era stato un ex cassiere di banca suo vicino di casa, il quale sostenne anche di averlo visto nel 1981 stendere dei feticci umani al sole su un filo. Tant’è. I carabinieri andarono a casa Pacciani, non trovarono niente, e lui momentaneamente uscì dai riflettori delle indagini. A riaccenderli fu appunto la polizia sei anni dopo quando, incrociando i dati, ci si accorse come gli indizi su di lui non fossero banali. Anzi.
Pacciani scriveva la parola Repubblica con una sola "B" (proprio come sulla busta inviata alla pm Della Monica); possedeva molti giornali che parlavano dei delitti e foto con pubi segnati a matita; inoltre aveva legami con tutti i luoghi degli otto duplici omicidi e i delitti si erano interrotti quando era finito in carcere per le violenze sulle figlie. Indizi certo, non prove. Il fatto è che queste, nonostante uno sforzo istruttorio colossale, non si materializzarono mai. Gli unici atti di accusa prodotti al processo furono infatti una cartuccia winchester ritrovata nel suo giardino (con molti dubbi su chi l’avesse messa); un blocco da disegno tedesco e un portasapone che, secondo gli inquirenti, sarebbero appartenuti alla coppia di ragazzi uccisa a Giogoli. Niente più.
Pacciani lo stesso fu condannato in primo grado all’ergastolo ma la sentenza non resse alla prova dell’Appello, che ribaltò tutto assolvendolo. Il Vampa sarebbe dovuto tornare di nuovo a processo dopo il rinvio della Cassazione ma, alla vigilia del dibattimento, venne trovato morto nella sua abitazione con i pantaloni abbassati e il maglione tirato su fino al collo. Un mistero in una storia fatta tutta di misteri. Era il 22 febbraio del 1998 e se la sua vicenda terrena finì qui, non finì certo il dibattito intorno alla sua figura. Pacciani di certo fu un mostro. Ma per dire che fu anche "il Mostro" sarebbero servite prove più consistenti, anche per poter verificare le dichiarazioni postume fatte da quel Giancarlo Lotti, le cui rivelazioni porteranno alla condanna di Mario Vanni, "compagno di merende" del Pacciani", ma la cui credibilità era ed è quantomeno dubbia. E forse alla fine il fallimento di questa storia sta proprio qui.
Nella sconfitta sostanziale della Giustizia, che non è riuscita a consegnare alla storia un omicida e un movente credibili. Consentendo così a molti, professionisti seri e ciarlatani, di poter dire ancora oggi la propria senza un limite al pudore. Già in Italia lo si fa sui fatti certi, figurarsi in un caso ancora così oscuro, doloroso, aperto.