I fiorentini ci sono ancora. Nonostante il centro invaso dalla valanga di turisti giornalieri, il proliferare di negozietti di souvenir di bassa lega, a scapito degli artigiani delle antiche botteghe, dei locali storici simbolo della tradizione culturale e civile della città. Il quartiere, quale luogo della famiglia socialmente allargata ha smarrito i propri connotati, pagando un alto prezzo alla globalizzazione. Gli ambienti di sana aggregazione del passato, in primis la parrocchia e la scuola, non sono più quelli di una volta. L’immagine stessa della città è cambiata: non solo dal punto di vista urbanistico. Alla nostra generazione il mutamento appare particolarmente evidente, e non certo in positivo, al di là dell’impegno delle istituzioni. Si pensi alla sicurezza, per fare un solo esempio: violenza, droga, spaccate, furti, abusivismo sfrenato. Per ritrovare i fiorentini, uno spazio c’è, lo stadio Artemio Franchi: malgrado le difficoltà per i lavori di ristrutturazione che per la riduzione dei posti tengono lontane tante persone. Là interessa solo la comune fede gigliata, non le distinzioni politiche e sociali.
Firenze ha voglia di staccarsi dai problemi quotidiani e di sognare. In verità l’inizio del campionato è stato deludente: pareggi agguantati magari nel finale con squadre di bassa categoria avevano fatto temere che anche quel punto e momento di incontro non si differenziasse da un diffuso e generale malcontento. Eppure… eppure è bastata una settimana poco più di successi consecutivi, tali da proiettare la Fiorentina nelle parti nobili della classifica, perché si recuperasse l’entusiasmo, la voglia di rialzare il vessillo, lo spirito collettivo battagliero e vincente. Simboleggiato dalla corsa ad abbracciare i tifosi, accalcati dietro le transenne, di Moise Kean – il piccolo, grande centravanti dal nome straniero, ma italiano doc, dalla testa ai piedi – dopo il terzo goal inflitto al Verona. Una corsa liberatoria, la sua, rivelatrice di un’attesa, di una determinazione assente da tempo, capace di riaccendere il ’sogno viola’. I problemi sono altri, si dirà, ben più complessi. Tuttavia l’unione di tutti, il fare squadra come ci insegnano i ragazzi di Palladino, è la base imprescindibile per quella ripartenza che andiamo invocando.