Vichi
La settimana scorsa ho saputo che il Troia è morto. I particolari non sono riuscito a saperli. Però mi è venuta voglia di andare a vedere quella casa dove non ero mai entrato. Ci sono andato subito. Camminando giù per la strada sterrata pensavo che in qualche modo era finita un’epoca. Ogni volta che muore un tipo mezzo matto finisce un’epoca. Avvicinandomi a quella casa ho notato subito che gli animali non c’erano più, nemmeno i gatti. Lungo un lato dell’aia, stesi su un filo di ferro, c’erano un paio di mutandone logore e una canottiera sbrindellata.
Tutto il resto sembrava come prima, ammassi di detriti, erbacce e spazzatura degne di una casa abbandonata da vent’anni. Mi sono affacciato al loggiato, non mi ero mai spinto fino a quel punto. Lo scudo di frasche era appoggiato al pilastro di mattoni. Attaccato a un filo rugginoso che pendeva da una trave c’era quello che restava di una vecchia aringa, cioè solo la testa, ormai diventata simile a un fossile. Fino a qualche anno prima attaccato alla coda dell’aringa c’era un cartello: “L’ospite puzza”. La porta di casa era aperta, sembrava che qualcuno l’avesse sfondata a spallate, forse erano stati dei ragazzi. Camminando sopra i giornali vecchi mi sono avvicinato. Inchiodato sulla porta c’era un altro cartello: “Farò come avete fatto voi, vi vado in c...”.
Mi sono affacciato dentro casa, solo con la testa. Mi sembrava di profanare una chiesa. Il Troia non avrebbe approvato, ne ero certo. Ma tanto è morto, mi dicevo guardando con un brivido la scala di pietra che portava al primo piano. L’unica luce era quella che filtrava dalle finestre socchiuse. Dentro casa l’abbandono era simile a quello che si poteva ammirare sotto la loggia.
Davanti a me tre scalini scendevano in una grande cucina, dove c’era un camino di quelli da starci seduti dentro. Non ci si poteva quasi camminare. Montagne di spazzatura, di giornali, di cose vecchie e rotte. Sono tornato indietro. Mentre salivo le scale verso il primo piano ho chiesto a voce alta se c’era qualcuno, non mi sentivo tranquillo.
Trattenendo il respiro mi sono affacciato in tutte le stanze. Più o meno dappertutto ho trovato lo stessa atmosfera da casa abbandonata. Non un solo angolo che facesse pensare alla piacevolezza di starsene in casa.
Cumuli di riviste marcite, armadi sbilenchi, zoppi, senza ante, specchi scrostati appoggiati in terra, comodini spezzati, cartucce sparate, vecchi telefoni di bachelite mezzi rotti, bottiglie fiaschi scarpe e stracci e ogni altro genere di cose, tutta roba buttata via dentro casa. In almeno tre stanze non si poteva nemmeno entrare, c’era tanta di quella roba che non si riusciva a vedere il colore del pavimento. Una stanza era occupata del tutto da una struttura di legno che sosteneva alcuni ripiani di cannicci, e sopra c’erano dei grappoli d’uva messi a passire chissà in quale anno. Il bagno era difficile anche da guardare. Sono sceso di sotto. Camminando a fatica sulle macerie ho attraversato la cucina e sono arrivato in uno stanzone dove c’erano un paio di tini in cemento. Una sopra all’altra c’erano diverse bigonce di plastica bianca.
Oltre una volta bassa di mattoni, tre scalini di pietra scendevano in una piccola cantina. Non sono entrato, mi sono chinato sulle ginocchia per guardare dentro. C’erano alcune botticelle di legno marcio, damigiane rotte, e uno strato di acqua sporca ricopriva il pavimento…
In quel momento mi sono sentito toccare una spalla, ho drizzato il collo ma non mi sono voltato, non mi sono mosso. Forse mi ero sbagliato, era stata solo la contrazione di un muscolo.
Ho cominciato a sudare. Non dovevo entrare in quella casa, ho pensato. Mi sembrava che il sangue mi fosse andato tutto nella nuca. Ho sentito dei rumori dietro di me, sembrava un respiro un po’ affannato, o magari seccato. Ho voltato piano la testa, pronto a tutto. Non c’era nessuno. Forse era stato il vento che entrava a folate da un vetro rotto. Mi sono alzato in piedi e ho ricominciato a respirare. Ho spalancato una porta che dava sui campi e sono uscito senza affrettarmi.
Appena mi sono trovato sotto il cielo ho sentito uno schianto che sembrava venire dal piano di sopra, come se qualcuno avesse sbattuto una sedia contro il muro mandandola in frantumi. Subito dopo ho sentito una specie di lamento, ma poteva essere benissimo un gatto. Mi sono avviato giù per la strada senza voltarmi. Il Troia era morto, ma sapevo che non sarei mai più entrato in quella casa.
(2-fine)