ALESSANDRO PISTOLESI
Cronaca

Un ragazzo di provincia in Ferrari: "Ho imparato che alla fine nella vita bisogna andare piano"

L’ad del circuito del Mugello: "Il ritorno della F1 è un obiettivo, serve l’aiuto delle istituzioni. La prima auto? L’Alfasud che fu di mio padre. E quelle partitelle insieme a Schumi...". .

L’ad del circuito del Mugello: "Il ritorno della F1 è un obiettivo, serve l’aiuto delle istituzioni. La prima auto? L’Alfasud che fu di mio padre. E quelle partitelle insieme a Schumi...". .

L’ad del circuito del Mugello: "Il ritorno della F1 è un obiettivo, serve l’aiuto delle istituzioni. La prima auto? L’Alfasud che fu di mio padre. E quelle partitelle insieme a Schumi...". .

Da sedici anni gestisce l’autodromo del Mugello, uno dei circuiti più apprezzati al mondo sia dai piloti che dagli appassionati di motori. Ma nella vita Paolo Poli, 55 anni, è un uomo a due velocità: in Ferrari una carriera brillante ed esplosiva, sempre con il piede piantato sull’acceleratore, fuori dal circuito invece ha imparato nel corso degli anni a rallentare, se necessario anche a fermarsi per riflettere, ripercorrere il passato, godersi più a fondo il presente.

Poli, esattamente qual è il suo rapporto con la velocità?

"Ho imparato ad apprezzare il viaggio lento, ma l’ho capito solo con il tempo: vivere ogni giorno nella velocità ti porta a vedere gli aspetti negativi che questa comporta. Non parlo solo delle conseguenze più evidenti. Se nella vita lavorativa corri troppo, ti perdi dei pezzi. Io sono andato forte, in 55 anni ho corso tanto, ma oggi che sono più riflessivo mi rendo conto che ho apprezzato quello che mi è passato di fianco solo dopo, riavvolgendo il nastro".

E la curva più difficile che ha dovuto affrontare?

"L’abbandono della giovinezza. Ero un ragazzo di Scarperia spensierato che in un anno, anzi meno, si è trovato catapultato in Ferrari. L’ingresso in azienda è stato uno choc. Erano gli anni Novanta, lavorare in Ferrari richiedeva determinati standard, allora come oggi il blasone del marchio lo senti, ha un peso enorme. Se per un laureato alla Bocconi magari entrare a Maranello è un passo più facile, per un ragazzo di provincia e senza neanche troppe aspettative come ero io, il colpo fu davvero forte. Mi sono subito dovuto rapportare con figure di una certa caratura, l’amministratore delegato all’epoca era Piero Fusaro, poi arrivò l’avvocato Montezemolo, dopo Marchionne e poi altri ancora".

E quel ragazzo di Scarperia oggi che fine ha fatto?

"È ancora dentro di me, la parte che mi fa sentire orgoglioso di quello che sono. Oggi ho la certezza di gestire l’autodromo più bello e affascinante del mondo, quello che ha le caratteristiche tecniche migliori. Un campanilismo tipico dei fiorentini: non un sentirsi superiori agli altri, ma orgogliosi per quello che facciamo ogni giorno".

Quale fu la sua prima auto?

"L’Alfa Romeo Alfasud, era l’auto era di mio padre. A quella macchina mi lega un ricordo particolare, perché poi mio padre è venuto a mancare presto. Non avevo ancora la patente e quando ho raggiunto l’età giusta è stato quasi un passaggio di testimone. Era una 1300 a trazione anteriore, se ci ripenso mi emoziono ancora. In tutti questi anni sono rimasto legato al marchio: oggi guido un’Alfa Romeo Stelvio".

E con l’Alfasud entrò in Ferrari…

"Ero un ragazzo di appena vent’anni. Riuscii ad avere un contratto di formazione lavoro. Da quel momento una lunga progressione di cui ancora oggi non mi capacito. Sono prima diventato addetto all’ufficio sportivo, poi responsabile, quadro, funzionario e nel 2008 dirigente. Un anno dopo diventai amministratore delegato dell’autodromo del Mugello, di proprietà della Ferrari. Ed eccomi ancora qui dopo 16 anni. Una storia che se la riguardo ora ha dell’incredibile".

Un percorso come il suo oggi sarebbe ripetibile?

"Non ho una risposta certa. Dobbiamo dare il merito a Ferrari di aver creduto in un giovane e di averlo formato. Solo poche aziende al mondo ieri come oggi possono avere la lungimiranza di consentire un percorso simile".

In questi giorni il Mugello è profondamente ferito.

"Per un mugellano, scarperiese di nascita come me, è una sofferenza enorme che si ripete nel tempo. Tanto da temere che non ci sia la giusta attenzione nelle manutenzioni di un territorio così delicato, che in queste situazioni mostra tutte le sue fragilità. Servono investimenti corretti per mitigare le conseguenze".

A cosa si riferisce?

"Penso ad esempio ai collegamenti: il Mugello ha una viabilità difficile che limita la normale attività e lo sviluppo, anche l’autodromo ne risente. Qui da anni e anni organizziamo il Gran Premio d’Italia di MotoGp e cerchiamo di dare agli occhi del mondo l’immagine di un paese forte, determinato e capace. Ma le infrastrutture di prossimità rischiano di avere ripercussioni pesanti".

Quando rivedremo la Formula 1 in Mugello?

"Quando le condizioni lo permetteranno. Per noi rimane un obiettivo, perché è nel nostro Dna. Questo circuito è stato strategico per lo sviluppo delle vetture Ferrari di Formula 1. Il nostro impegno è massimo ma non possiamo competere da soli. Il Mugello è uno dei pochi autodromi privati, normalmente a livello internazionale sono finanziati da enti sportivi nazionali o altro. In qualche modo abbiamo bisogno di essere aiutati dalle autorità per competere in questa gara fra stati e territori. Con infrastrutture di prossimità così deboli per noi oggi è una gara persa in partenza. L’autodromo del Mugello non può essere considerato una cattedrale nel deserto: il nostro sviluppo è possibile se accompagnato da una pari attenzione da parte degli enti regionali e nazionali".

Qual è la persona più speciale che ha incontrato?

"Faccio fatica a scegliere un nome. Ma posso dire che il pilota con cui c’è stato più feeling e che tutti noi dell’autodromo abbiamo più ammirato è senza dubbio Michael Schumacher. Un ragazzo splendido, disponibile con tutti. Abbiamo trascorso tanto tempo insieme per sviluppare la vettura e organizzare la pista. Lunghi giorni invernali in cui abbiamo percepito tutta la sua spontaneità. Lui era già un vincente, un campione. Ma nei momenti di pausa dall’attività rideva e scherzava, ha sempre considerato gli altri come persone al suo livello, era un gigante e oggi fa male saperlo in quel destino avverso che l’ha colpito".

Un aneddoto di quegli anni?

"Ricordo gli allenamenti nella palestra di Scarperia e le partite di calcetto che organizzavamo a Borgo San Lorenzo. Giocava come se non ci fosse un domani. Ricordo una partita con lui e tutto il personale dell’autodromo contro una rappresentativa della Fiorentina, tra cui Batistuta e Rui Costa".

Come andò a finire?

"Finì che andammo tutti a mangiare la pizza alla Casa di Caccia. Un terzo tempo fantastico e indimenticabile".