
Thayaht con TuTa e Sandale de Florence 1920
Firenze, 8 luglio 2020 - Esattamente un secolo fa, a Firenze e sulle pagine della Nazione, nasceva la tuta. Un indumento figlio del Futurismo, generato da due fratelli artisti, geniali e cosmopoliti, che con questo capo di abbigliamento hanno lasciato un segno indelebile nell’arte ma sopratutto nella vita di tutti i giorni. Questo abito da lavoro è così familiare che sembra essere sempre esistito. E invece sono stati i fiorentini Ernesto e Ruggero Michahelles, in arte Thayaht e Ram, a inventarsi nel 1920 questo completo geometrico, a forma di T, risultato di straordinari cambiamenti sociali e culturali all’indomani della fine della Prima Guerra Mondiale e della Rivoluzione d’Ottobre. A ricordare l’anniversario è un discendente di quella famiglia così eclettica, Riccardo Michahelles, figlio di Ram, curatore dell’Archivio Thayaht & Ram che ha sede nella casa museo nel viale del Poggio Imperiale. "Tutto inizia a Firenze, come un romanzo, fra la fine di giugno e l’inizio di luglio 1920 - spiega Riccardo Michahelles -, quando fu coniato l’appellativo di tuta e ideato il modello maschile prima e femminile dopo qualche settimana. Sul giornale “La Nazione” furono pubblicati i modelli. Il 27 giugno alle 8 del mattino in via Ricasoli, davanti alla sede della Nazione, si invitavano a comparire circa mille ‘tutisti’ fiorentini, uomini in TuTa, donne in TuTa e bambini in TuTa, ingaggiati gratuitamente come comparse per sfilare lungo le vie e le piazze principali della città per poi terminare con un rinfresco di birra collettivo alla Loggia di Piazzale Michelangelo". Come verrà scritto sulle pagine della Nazione una settimana prima della sfilata, chi voleva partecipare doveva acquistare il cartamodello al prezzo di 0,50 centesimi allegato al quotidiano fiorentino, realizzando poi a casa propria la “tuta“. Il risultato fu un vero successo. La parola stessa è un’invenzione futurista, e nasce dalla caduta di una T di “tutta“, intesa come “tutta la gente“. "La TuTa ha un potente messaggio sociale e politico – prosegue Riccardo Michahelles –. Trasmette fin da subito il concetto della popolarità di un abito alla portata di tutti e quindi adatto a tutta la gente, dove sono riuniti praticità, eleganza, colore e convenienza. Inoltre, lo scopo era far sentire meglio le persone, proprio in quello specifico periodo tragico della storia, dando un senso di sollievo pratico e psicologico. Dobbiamo pensare che avere la possibilità d’indossare un indumento di alta moda a un costo popolare fra le 30 e le 45 lire era la vera rivoluzione dell’abbigliamento. Oltretutto, si poteva contrastare l’oligopolio delle maggiori case di moda francesi presenti in quel periodo sul mercato, rafforzando la moda italiana. E si può dire che da allora nacque ufficialmente il made in Italy".
Ma ccco come Thayaht racconta la sua invenzione in un’intervista del 1958 su La Nazione: «Era di giugno e faceva già caldo a Firenze. I tessuti costavano cari e il movimento delle folle era grigio per l’assoluta impossibilità di cambiare i vecchi vestiti con qualcosa di nuovo. Ci voleva qualcosa che rompesse l’abitudine ai colori spenti. Avevo negli occhi i colori festosi degli impressionisti . Un giorno, passando in via Orsanmichele, vidi in una vetrina tessuti di cotone e di canapa a colori vivaci e a poco prezzo. Presi alcuni campioni e mi misi al lavoro. La confezione doveva essere di minima spesa e tale da potersi fare in casa, perché il nuovo tipo di abito fosse alla portata delle masse come io lo avevo sognato. Ebbi la collaborazione di mio fratello Ruggero, anch’egli pittore. Mobilitai alcune amiche, abili con la macchina da cucire e mi feci confezionare la prima TuTa bianca da me stesso tagliata. Allora fu stampato il disegno del modello geometrico, con le spiegazioni di taglio, di questo abito “tutto d’un pezzo”, a forma di “T”». © RIPRODUZIONE RISERVATA