Il 25 aprile continua ad essere data divisiva. Così viene spontaneo parlare di anomalia italiana (fra le altre). Ma come mai è possibile dividersi, ci si chiede, fino a disconoscere la data simbolo della libertà riconquistata assieme all’unità e all’indipendenza nazionale? Da storico garantisco che non solo è possibile, ma che non è un caso solo italiano. Prendiamo il 14 luglio 1789, assalto alla Bastiglia, festa nazionale per i francesi. Si dice che è data condivisa e orgoglio nazionale, oltralpe. Forse. Ma se facciamo un giro dalle parti della Vandea troviamo ancora francesi pronti ad esprimere molte perplessità sulla grande rivoluzione. In più da quelle parti, a un secolo e più dall’’89 si coltivavano ancora spiriti monarchici di revanche anti repubblicana. Oggi meno, ma solo perché il 14 luglio è stato ritualizzato. Ma a distanza di quasi 240 anni, se andiamo a scavare da quelle parti qualche nostalgico dell’ordine prerivoluzionario lo troviamo. Pochi e sparuti, si dirà, ma in mezzo ci stanno dieci generazioni e non due o tre, come nel caso nostro. Allora facciamo un viaggetto negli Stati Uniti, dalle parti del Mississippi, dell’Arkansas, della Louisiana e proviamo a ricordare il 9 aprile 1865, giorno della resa incondizionata del generale confederato Lee al generale Grant comandante delle forze nordiste. Vi assicuro che le reazioni dell’interlocutore potrebbero essere qualificate come indesiderabili. E sono passati 160. Quindi, vedete che in fondo non stiamo tanto male. Perché sul 25 aprile si può discutere quanto si vuole, ma, piaccia o non piaccia è una data spartiacque. Prima di essa ci sta la dittatura, la tragedia nazionale e l’umiliazione di un paese occupato e dominato, oltre che diviso. Dopo di essa ci sta la via verso della libertà che arriva con le elezioni per l’Assemblea Costituente, il Trattato di Pace, la Costituzione della Repubblica. È vero che l’insurrezione nazionale scontava la forza dell’esercito alleato e altrimenti non sarebbe stata possibile. Ma tutto il resto che ne consegue è quanto l’Italia ha saputo esprimere. Teniamocelo caro, quindi, e, soprattutto, teniamo fermo il punto perché è il nostro secondo Risorgimento.
CronacaUn secondo Risorgimento da tener stretto