GHERARDO
Cronaca

Una stagione che non finisce. La lettera ai giovani pieni di energia

Il viaggio nel tempo (a puntate) del re della notte si conclude con l’invito all’ascolto e all’autenticità

Una stagione che non finisce. La lettera ai giovani pieni di energia

Il viaggio nel tempo (a puntate) del re della notte si conclude con l’invito all’ascolto e all’autenticità

Guidi*

Osservo i gabbiani che volano alti nel cielo di Versilia in questo primo scorcio di settembre. Sbattono le ali con colpi forti, contro vento, poi si girano d’improvviso, in maniera elegante e cadono in picchiata.

È l’immagine che accompagna il tramonto di un’estate che non finisce, essendo uno stato d’animo che scalda i pensieri anche nel cupo inverno. È un’estate che ha consacrato il ritorno nelle sale cinematografiche del film “Sapore di mare”, girato in parte in Capannina 41 anni fa e ancora così amato dal pubblico.

La scena finale, quando Jerry Calà manda il biglietto a Marina Suma, è una poesia sublime. Qualcuno ancora storce il naso, parla di ambienti fané, di una memoria che è restata troppo legata agli anni d’oro, ma consentitemi di rispondere che questa è la Versilia e il suo successo è proprio nel riuscire a rimanere sempre attuale. Un anno va di moda la Sardegna, un anno Ibiza con Formentera, un anno Mykonos, un anno Capri, ma noi siamo sempre qui. Fieri di esserlo.

Anni fa mi capitò di leggere un bel libro, “Il gabbiano Jonathan Livingston”, una storia filosofica di chi abbandona lo stormo per sperimentare la propria indole. Ecco, se me lo consentite, la mia vita lavorativa è stata un po’ così. Solitaria rispetto alle mode e alle tendenze che non rispettassero una visione fatta di qualità nel servizio e coerenza.

Certo, mi piacerebbe essere un gabbiano, per gioco essendo io uno che cerca di rispettare tutti, per osservare gli amori che nascono, sbocciano, fioriscono sotto il solleone. Per spostarmi da un ombrellone a una tenda, scrutando il profilo delle Apuane e dei loro marmi.

In queste settimane ho cercato di far rivivere quelli che Renato Zero chiama “i migliori anni della nostra vita”. Ho riportato lo spettacolo dal vivo in pedana con artiste (non cubiste) capaci di interpretare la sensualità di un tango e l’esuberanza del can can senza svilire i propri corpi. Ho fatto esibire un tenore e il dj più premiato d’Italia, Charlie Dee. Jerry, certo. Le madrine di ieri e di oggi. Gli artisti di cui ho parlato.

Sono grato a “La Nazione”, alla direttrice Agnese Pini e al corpo redazionale per aver pazientemente ospitato il mio racconto.

Sfoglio il taccuino dove nel maggio scorso mi ero appuntato una scaletta e scopro che è rimasto un ultimo spazio, per dirci come è cambiata l’estate. E come quest’estate ci ha cambiati.

Ho incontrato migliaia di giovani in queste notti. Li ho trovati pieni d’energia, voglia di fare, curiosi di scoprire il mondo. Ho ripensato a quando avevo quell’età e mi sono detto che forse abbiamo avuto più opportunità noi di quante non ne possano avere loro. Perché abbiamo attraversato gli anni del boom, delle rivendicazioni, del sogno. Quando i telefonini non esistevano, quando scrivere una lettera voleva dire aprirsi al fato e attendere, da quel momento, la magia di una risposta. Il tempo lento. Gli appuntamenti fissati e rispettati più di quanto non si faccia oggi con una localizzazione o un whattsapp. Tutto funzionava.

Vorrei dire questo ai giovani: mettete da parte per un attimo i cellulari e fatevi raccontare dai nonni, se i genitori sono impegnati, com’era il tempo del corteggiamento, come si ballava un lento col cuore che palpitava per un abbraccio, per una frase sussurrata, per un desiderio magari inespresso o anche rifiutato.

Le orchestre avevano un che di sacro, il direttore che gesticolava richiamando fiati, timpani e assoli. La musica era meno perfetta nell’ascolto, rispetto a quella suonata dai computer. Ma era in quell’imperfezione che respiravi il miracolo della notte. Nel saper apprezzare anche quello che non era un’immagine perfetta come magari appare oggi, alimentata da un approccio “costruito”. La bellezza di una persona, lasciatevelo dire, non è solo nell’estetica, che certo vale. E vorrei dire a tutti che dobbiamo conservare gelosamente questi frammenti piccolini di felicità.

Nel congedarmi da questa rubrica, il pensiero va al palco della Capannina, alle luci in sala. Mi torna in mente Ornella Vanoni, “tu sei un attimo senza fine”, composta da Gino Paoli. Due mostri sacri che ho fatto esibire per anni. “…Non m’importa della luna, non m’importa delle stelle, tu per me sei luna e stelle, tu per me sei sole e cielo, tu per me sei tutto quanto, tutto quanto io voglio avere”.

Ecco, uniamoci in un abbraccio, lasciamoci cullare dal rumore delle onde che accompagneranno l’inverno, per poter tornare alla “stessa spiaggia stesso mare” che è un po’ la nostra Itaca.

(12 - fine)

*Storico patron della Capannina