"Essere un volontario significa aiutare, amare, gioire, e soprattutto credere. Credere in un lavoro difficile, che richiede un impegno fisico ed emotivo senza precedenti, ma che quando viene svolto bene regala sensazioni inimmaginabili". Andrea Marchi è il delegato tecnico regionale area operazioni emergenza e soccorso della Croce Rossa, la più grande associazione umanitaria al mondo con una struttura operativa che permette di intervenire, secondo dei protocolli, in situazioni di emergenza nazionale ed internazionale. Ha scoperto la Croce Rossa quando aveva solo 16 anni, e da allora non l’ha più lasciata.
Come è iniziato il suo percorso nel volontariato?
"Ho cominciato collaborando con i giovani, poi è stato un crescendo. CRI è come le sabbie mobili, più fai e più ti tira dentro, ormai sono 23 anni che faccio il volontario e continuo ad innamorarmene giorno dopo giorno. Ci sono infiniti percorsi che ti affascinano e non finisci mai di scoprirli".
Ci parli di uno di questi
"Un’attività importante è la gestione delle migrazioni. Questa si articola in quattro fasi da quando la nave arriva in un porto sicuro: il lavoro a bordo, sulla banchina, nei centri di prima accoglienza, e poi l’accompagnamento dei migranti nelle destinazioni finali. Nei giorni precedenti l’arrivo contattiamo le ong che ci illuminano sullo stato dei sopravvissuti a bordo e sulle criticità, ci occupiamo quindi delle esigenze emotive e psicologiche, il nostro primario obiettivo è tenere uniti i nuclei familiari. Quando arriva la nave saliamo a bordo, facciamo un rapido screening sanitario ed intercettiamo le fragilità segnalate. Poi diamo ai migranti i welcome kit, per cambiarsi e per l’igiene personale. A terra li accompagniamo all’accoglienza in collaborazione con la USL, dove vengono inseriti nei registri. A quel punto diamo loro la possibilità di telefonare e quello è un momento particolare, perché ci sono persone che non sentono i familiari da anni, né sanno se siano ancora vivi. Infine ci assicuriamo, là dove possibile, che la famiglia viaggi unita, dunque li portiamo nelle strutture finali".
Qual è un’attività che le è rimasta nel cuore?
"Su richiesta della comunità internazionale è stato attivato il servizio per far evacuare bambini palestinesi ospitati negli ospedali del Cairo che erano sovraffollati e non potevano prendersi cura dei malati. I bambini avevano fragilità importanti o ferite gravi a seguito della guerra, quindi siamo intervenuti in soccorso per ospitarli temporaneamente in Italia, Germania e in altri stati, e per sottoporli a cure più intensive. L’arrivo è stato un colpo allo stomaco, vedere davanti a noi creature innocenti soffrire in modo serio e sapere di averne la responsabilità. La priorità è stata calmarli e fargli capire che fossero al sicuro. Ma paradossalmente la parte più difficile è stata lasciarli andare, si creano legami forti".
Come si fa a non portarsi dietro quel carico emotivo?
"È impossibile, è un mattoncino che va vissuto in modo corretto. Ogni storia che conosciamo entra a far parte di noi. La prima cosa su cui investiamo è la formazione dei volontari, si parte per queste missioni solo se si è davvero preparati perché ci si può far male emotivamente, inoltre abbiamo una squadra di supporto psicologico che ci segue prima e dopo le missioni".
Cosa serve per diventare un volontario?
"Basta voler far del bene. I volontari di Croce Rossa sono persone in grado di stare 13 ore sulla banchina di un porto finché l’ultimo dei 326 migranti non sia sceso dalla nave, mettono il bene degli altri al primo posto e lo fanno credendoci fino in fondo. Finché ci saranno persone che fanno questo con forza e cuore il volontariato non morirà mai".