FIRENZE
Era già dissequestrato, l’Astor, e sin da questo atto della procura si capiva che, per gli inquirenti, quell’immobile non aveva più niente da dire. Ma ora, con la vendita all’asta e la possibilità per ogni interessato all’operazione di fare un sopralluogo laddove si è consumato il giallo, è la resa definitiva: Kata non è lì dentro e neanche mura o suppellettili potranno fornire niente di più alle sue ricerche.
D’altronde, anche l’ultimo accertamento in questa direzione è finito con un buco nell’acqua: non c’è traccia della bimba peruviana in un secchio e in un mocio sequestrati davanti a una stanza al primo piano occupata da alcuni rumeni. E non c’è traccia di Kata neanche su un peluche che, per la consulente della famiglia Chicclo/Alvarez Vasquez, la criminologa Stefania Sartorini, era il bambolotto da cui la piccola non si separava mai.
Ogni possibile goccia di dna è stata cancellata dall’uso della candeggina, per quanto riguarda i due oggetti utilizzati per pulire; più difficile da spiegare come e perché, il genetista incaricato dalla procura non abbia trovato segni di Kata sul ’suo’ orsacchiotto. La criminologa azzarda l’ipotesi che anche il peluche possa essere stato lavato. Ipotesi, appunto. Ma nonostante siano passati oltre 16 mesi da quel giugno del 2023, le certezze sono davvero poche.
Si può dire, appunto, che Kata non sia più dentro il perimetro dell’albergo confinato tra via Maragliano e via Boccherini, alla luce anche della "resa" dell’edificio. L’uscita di Kata dall’Astor non è stata ripresa da nessuna delle telecamere che in maniera più o meno diretta insistono sui due accessi. E non è stata trovata traccia di lei neanche in borsoni e valigie che, nel pomeriggio di quel sabato che ha dato il via al mistero, vengono trascinati fuori dall’ex hotel occupato da alcune persone, le cui posizioni sono ora archiviate.
Per esclusione, il ragionamento investigativo porta a dire che chi ha portato via dell’Astor la bambina, ha utilizzato il retro e i passaggi, non scontati, che portano a via Monteverdi, guarda caso l’unica strada che ha un ampio tratto “scoperto“ dalle telecamere.
E questo buco, casuale o cercato da chi ha strappato Kata alla famiglia, si sta rivelando un abisso. Mesi e mesi d’indagine, finora, hanno partorito solo un processo per il cosiddetto “racket delle stanze“, il commercio abusivo di alloggi dentro l’occupazione sfociato, pochi giorni prima dell’inizio del giallo di Kata, nel tentato omicidio di un occupante “sgradito“ ai padroni dell’occupazione. Tra questi, oltre al “dueno“ Carlos Palomino De La Colina, anche lo zio materno di Kata, Abel detto Dominique.
Per molto tempo, il collegamento tra le presunte angherie di chi amministrava anche con minacce e violenza, secondo le accuse, la vita della folta comunità di peruviani e rumeni dell’Astor, era la chiave del rapimento della bimba. Oggi, questa pista si è notevolmente affievolita, benché nell’aprile dell’anno prossimo lo zio della bimba sarà seduto sul banco degli imputati. Abel è anche uno degli ultimi ad aver visto la bimba, quel sabato, al pari dell’altro zio paterno, Marlon: per questo sono entrambi indagati. Il padre di Kata, Miguel Angel, quando sua figlia è stata inghiottita dalle tenebre, era detenuto a Sollicciano, come del resto lo è adesso.
Qualcuno ce l’aveva con lui? Anche questa strada è stata battuta, ma niente. Così come non ha trovato riscontri, almeno sinora, l’ipotesi che Kata sia stata scambiata con un’altra bimba, sua amica e sua coetanea, o che l’eclatante gesto del rapimento sia collegato a traffici di droga o di esseri umani. Sono stati fatti interrogatori anche in Perù. Persone, come la mamma della bimba amica di Kata, sono state sentite dal procuratore capo Filippo Spiezia in persona, ma non si ha notizia di risultati. E forse la chiave di tutto resta sempre lì dentro, tra i silenzi e le omertà dell’Astor. Dove, secondo l’ennesima pista, poteva annidarsi un orco.
ste.bro.