
UOVA CONTRO UN NEGOZIO DI PARRUCCHIERE CINESE NEL VIALE DEI MILLE
Firenze, 13 novembre 2014 - WU E SIGNORA ieri mattina hanno avuto un tuffo al cuore all’apertura del loro negozio di parrucchiere di viale dei Mille: nella notte la vetrina è stata bombardata da un fitto lancio di uova e passato di pomodoro. L’episodio può sembrare di secondaria importanza, di quelli da archiviare in fretta come marginale, senonché il saloncino è gestito da una coppia cinese ed è l’unico ad essere stato preso di mira. Qualcosa vorrà pur dire...
Ieri, ore 10. Sul vetro imbrattato, come tutta la soglia della porta d’ingresso, fra chiazze e schizzi gialli e rossi, le pulizie sono iniziate da parecchio e ancora si legge a malapena il listino prezzi: taglio, colore, meches, sopracciglia, i consueti servizi da parrucchiere a cifre inconsuete. Economiche: non oltre i 25 euro nemmeno per i pacchetti comprendenti più trattamenti. I poliziotti di volante se ne sono appena andati, invitando i proprietari a presentare denuncia e al tempo stesso allargando le braccia perché molto altro non si può fare. «Ma hanno detto di chiamarli se si ripetesse qualche episodio del genere», spiega la proprietaria del fondo commerciale, che è dispiaciuta più come persona che come locatore.
Questo tiro al bersaglio non sembra proprio una goliardata, almeno la gente di Campo di Marte, residenti e passanti, non pare disposta a prenderla per tale. Si fermano in tanti a chiedere cosa sia successo – «quando? e perché? vergogna, inconcepibile, deliquenti...» – ai giovani coniugi orientali e al ragazzo, loro parente, che li aiuta in negozio e che armeggia con vigore con spazzoloni, strofinacci, sapone.
«Ci hanno detto che è successo intorno all’1 di stanotte», dice Elisa, moglie del titolare, mentre si affanna a pulire. Rimane calma, pacata: deve probabilmente fare appello a tutta la nota imperturbabilità asiatica per prenderla con questa flemma e segue i consigli della proprietaria del fondo. Che viceversa è molto indignata. «Non danno fastidio a nessuno, lavorano e pagano puntualmente l’affitto, si sono fatti la loro clientela, sono regolari, iscritti alla camera di commercio... Questo fatto è intollerabile e incomprensibile, non si può passarci sopra. Questa non è una zona di forte attrito sociale, non è la prima attività gestita da stranieri e non è mai accaduto niente fortunatamente».
«Qian Yi parrucchiere unisex» ha aperto in viale dei Mille all’angolo con via Vallecchi a luglio, subentrando a un negozio di arredamento e design. Wu ha lavorato per anni ad Aosta, è venuto a Firenze per amore di Elisa. Raccontano che, un mese dopo l’apertura, hanno ricevuto la prima visita dell’ispettorato del lavoro. «Un’imbeccata dispettosa, chissà... – s’ipotizza con il senno di poi – Comunque trovarono solo il cugino che non era assunto perché appena arrivato».
Il raid vandalico della notte si è fatto notare. Giovani sulla ciclabile, anziani con le borse della spesa, tanti si fermano a chiedere. Stupiti e indignati: è come se l’oltraggio fosse stato fatto alla città, alla civiltà di cui va orgogliosa, prima ancora che ai diretti interessati. Si scambiano opinioni. «Pensi che loro dicono di sentirsi italiani». A qualcuno avrà dato fastidio? Avranno nemici personali? Invidie? Oppure il problema sono i prezzi low cost? Ma via, non scherziamo, c’è posto per tutti, la clientela è di diversi livelli... Le ipotesi si accavallano, difficile e azzardato darsi una risposta. La bravata però no, l’idea dell’atto vandalico da «ragazzacci» in cerca di divertimento pesante non trova seguito. E poi chi va in giro con le uova e i tetrapak di pomodoro? E perché proprio quell’unico negozio?
Già, il solo esercizio gestito da cinesi. Un impercettibile particolare che induce a sospettare un movente razzista, più o meno strisciante, più o meno superficiale, in questo oltraggio a gente che lavora. E’ una riflessione che la mente respinge, ma che si ripresenta. Ed è davvero un brutto pensiero. Arriva una cliente: «quindi niente messa in piega?». «Prego, signora, si accomodi». Ci vorrà altro che qualche uova per fermare il lavoro.
laura gianni