Firenze, 21 luglio 2020 - Prosegue il nostro viaggio nel labirinto della rivoluzione digitale. Proprio di digitale si continuerà a parlare con molta più concretezza nei prossimi mesi, visto l’accordo trovato in UE sul Recovery Fund, strumento più volte richiesto dall’Italia con l’obiettivo di arginare l’impatto devastante del coronavirus. Ora l’Italia dovrà presentare un piano serio e concreto, ci auguriamo anche molto coraggioso, per rilanciare il nostro paese in chiave digitale e verde. Quindi risorse vere da destinarsi, realisticamente dal 2021 in poi, alla digitalizzazione del paese e allo sviluppo sostenibile.
Bene, torniamo a noi. Oggi proviamo a fotografare il fenomeno dei coworking in Italia, aiutandoci anche da una mappa interattiva che Alessandro Latterini di Retesviluppo ha elaborato per questa rubrica.
Secondo Wikipedia il coworking è prima di tutto è uno “stile lavorativo che coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro, spesso un ufficio, mantenendo un'attività indipendente” A differenza del tipico ambiente d'ufficio, coloro che fanno coworking non sono in genere impiegati nella stessa organizzazione e gli spazi di lavoro condivisi sono animati da freelance, professionisti, giovani all’inizio del percorso lavorativo, persone che viaggiano frequentemente con la necessità di accedere ad una posizione lavorativa senza costi fissi. Sempre Wikipedia, ci dice che l'attività del coworking è “il raduno sociale di un gruppo di persone che stanno ancora lavorando in modo indipendente, ma che condividono dei valori e sono interessati alla sinergia che può avvenire lavorando a contatto con persone di talento” Insomma l'hashtag di riferimento è #condivisione: di idee, di relazioni, di opportunità, il tutto all’interno di uno spazio dinamico, flessibile e giovane. Il primo spazio di coworking è nato a San Francisco nel 2005, in Italia sono arrivati 5 anni dopo. Oggi contiamo oltre 700 coworking in tutta Italia, con la solita Lombardia che trascina il gruppo con le sue 184 realtà, seguita dal Veneto e dall'Emilia Romagna, rispettivamente con 79 e 68 coworking attivi sul territorio, in Toscana invece sono 53. Sempre stando ai dati aggiornati a Dicembre 2019 le città con più spazi di condivisione sono Milano (91), Roma (53) e Torino (24), Firenze invece è a 17.
Durante il lockdown è stata condotta un'indagine - Italian Coworking Survey 2020 - per raccogliere dati e percezioni su come i coworking stessero rispondendo alle crisi sanitaria in corso. Nella sezione conseguenze immediate si può facilmente immaginare come gli eventi e la prenotazioni delle sale siano stati quasi tutti cancellati, ma il dato però che allarma di più è la cancellazione della propria postazione/membership da parte di oltre il 37% dei partecipanti. Inoltre, nella sezione richieste che i titolari degli spazi hanno avanzato durante la survey troviamo: specifiche azioni finanziarie per i coworking e la sospensione del pagamento degli affitti.
Negli ultimi 10 anni il fenomeno ha visto una crescita esponenziale. I coworking sono diventati veri e propri punti di riferimento di molte città, soprattutto in quei territori maggiormente aperti all’innovazione e alle nuove forme di lavoro e di socialità.
Oggi, tuttavia, si trovano di fronte ad una sfida molto delicata: l’emergenza sanitaria, il distanziamento sociale e la conseguente diffusione dello smart working stanno, infatti, mettendo in discussione questa forma ibrida di condivisione degli spazi di lavoro.
In questa situazione la community diventa il vero valore aggiunto. Per questo motivo chi gestisce e anima queste realtà - in modo fisico e virtuale - deve essere capace di renderle una fucina di opportunità, di relazioni e di iniziative volte a promuovere la professionalità e la creatività di chi li occupa, e li vive.
* Lapo Cecconi è docente di Master Digital Transformation Università di Firenze e fondatore della start up Kinoa