EMANUELE BALDI
Cronaca

"Via maglie zip a Dario. Sara, la forza dei sorrisi". Agnoletti, lo stratega che decollò con Renzi

Parla lo spin doctor che, con Diamanti, ha curato la campagna di Funaro "L’empatia con la gente è la sua vera forza. Matteo? Gli devo tutto".

"Via maglie zip a Dario. Sara, la forza dei sorrisi". Agnoletti, lo stratega che decollò con Renzi

"Via maglie zip a Dario. Sara, la forza dei sorrisi". Agnoletti, lo stratega che decollò con Renzi

"Agnoletti, alla fine ha vinto un’altra campagna elettorale... Titolerei ’Il segreto del mio successo’". "Guai a lei eh, restiamo con i piedi per terra" dice ridendo. Marco Agnoletti, 51 anni, fondatore della società di relazione con i media ’Jump’, è stato consulente, con Giovanni Diamanti di Quorum, di Sara Funaro nella corsa a Palazzo Vecchio. Si direbbe spin doctor ma è termine assai algido e in verità distante dalle dinamiche frizzanti, estemporanee, talvolta nervosette e spesso empatiche, dei meccanismi di propaganda.

Quando ha capito che Sara Funaro ce l’avrebbe fatta?

"Premessa. I successi di ’Jump’ sono merito di una di una squadra eccezionale di 10 professionisti che ci lavorano... Quanto a Sara in realtà il vero punto di svolta è stato forse quando eravamo più in difficoltà. Il giorno del confronto fra i candidati alle Serre Torrigiani mi arrivò il sondaggio che sarebbe uscito sulla stampa solo il giorno dopo".

Quello del ’testa a testa’?

"Esatto. 37% Funaro, 34% Schmidt. ’Porca miseria’. Feci sbirciare i dati agli assessori Bettarini e Giorgio che avevo vicino : mica dovevo soffrire solo io...".

E poi?

"Quando Sara scese dal palco le dicemmo: ’Sediamoci e prendi qualcosa da bere’. ’Che c’è?’ chiese lei - Prendo l’acqua".

Prese l’acqua?

"No, le dissi ’Prendi qualcosa di forte, un Negroni sbagliato’".

Qualcosa era stato sbagliato?

"Ma no. Solo che capii il momento. Le dissi ’Sara, se tentenni si crolla. Ora vai a casa e riposati. E domani si va alla guerra’".

Il giorno dopo ci fu il famoso summit al comitato elettorale.

"Sì, con lei, Dario e lo stato maggiore del Pd. Venne anche Diamanti, figura preziosissima in questa campagna. Da quel giorno iniziammò a recuperare. Si vince con il gioco di squadra".

Giugno 2004, lei segue il candidato Domenici al voto per il secondo mandato.

"Sì, in veste di portavoce".

All’epoca zero social.

"Fu l’ultima campagna elettorale analogica. E poi Leonardo era un po’ della vecchia guardia dalemiana: la politica si fa negli uffici, non tra la gente. Non intuì per dire la forza dei girotondini che invece Martini, allora governatore, lesse meglio. Di lì a poco capii che Matteo Renzi avrebbe avuto presto delle praterie davanti. Nei primi studi di comunicazione s’impara che Churchill vinse la guerra ma subito dopo perse le elezioni...".

Mi sono un attimo perso.

"Domenici aveva stampato un librone con tutti i risultati del primo mandato. Ma io credo che le elezioni si vincano quando si racconta cosa si farà".

Che città era?

"Zero problemi di sicurezza, si cominciava forse a litigare sulla tramvia e sul lavoro. Firenze era seduta ma covava malcontento verso quello che sarebbe stato l’ultimo gruppo di potere".

E appunto andiamo al 2009. Ecco Renzi, un ciclone.

"Già. Capì la discontinuità. La sua fu una rivoluzione vera, social, dal basso, diffusa. Pensi ai 100 punti e a quante migliaia di persone coinvolse. Ho imparato molto più io da lui che lui da me, nonostante fosse di poco più giovane. Professionalmente la persona più importante della mia vita. Non a tutti capita un treno così, ho avuto fortuna".

Un aneddoto.

"Tempo prima della discesa in campo mi disse ’Ho deciso di fare le primarie per diventare sindaco dopo aver ascoltato un discorso di D’Alema’. Ma figurati, lo pianificava dalle elementari".

Lei lavorò sull’immagine.

"Aveva quelle camicie a quadrettini rossi...".

Il giubbotto alla Fonzie fu intuizione sua?

"No, penso della De Filippi".

Anche con Nardella, nel 2014, ci fu da lavorare sullo stile?

"Ricordo i maglioni con la zip sopra la cravatta. Roba che neanche Casini. Però Dario fu bravo, è uno che non si risparmia mai. Vinse bene e poi il Pd era al 40%, l’apice del renzismo".

Il suo capolavoro fu la vittoria di Bonaccini in Emilia Romagna. Gli elettori sono così diversi dai toscani?

"Qui più campanilismi e litigi, lì più senso di appartenenza".

Guazzaloca nel ’99 espugnò Bologna. A Firenze il centrodestra non ce la farà un giorno?

"Tutte le fortezze sono espugnabili ma qui non hanno classe dirigente all’altezza. Schmidt è un uomo di livello ma per la Ztl, non a Quaracchi".

La forza di Funaro?

"L’empatia. Alla sala Rossa, le consigliai di salutare i fiorentino. Lei si mise alla porta e ringraziò tutti, uno per uno. La gente era in estasi. Perché lei tra la gente ci sa stare davvero".