“Guarda quanta gente c’è” cantava Silvestri. E mentre la sua canzone risuonava tra i merli di Palazzo Vecchio, questa mattina, c’era effettivamente tantissima gente in piazza della Signoria alla mobilitazione collettiva lanciata dal nostro gruppo editoriale, nell’ambito del progetto #QNxLeDonne. Non solo donne, non solo ragazze, anche molti uomini e futuri tali. Segno evidente che quella contro la violenza sulle donne è una battaglia comune, che coinvolge tutti e che deve essere combattuta su tutti i fronti.
Si dice spesso che la violenza di genere è un fenomeno culturale. Lo dicono gli intellettuali, lo dicono soprattutto le istituzioni, ma in pochi si chiedono il perché non venga trattato come tale. Lo ha chiesto alla piazza Stefano Massini, arrivato a sorpresa a spettinare i presenti con la sua tipica potenza verbale. “Siamo qui oggi per dire ‘no’ alla violenza. Ma possiamo essere più onesti e dire anche che un ‘No’ ipocrita non serve a nulla – ha detto lo scrittore e drammaturgo – Prima abbiamo bisogno di dire ‘no’ a una serie di frasi fatte con cui ci riempiamo la bocca ogni giorno. Prima dobbiamo insegnare a scuola che nella letteratura italiana ci sono anche grandi poetesse e scrittrici donne. Che la musica italiana non è stata fatta solo da grandi compositori uomini, che la scienza è piena di donne, così come la filosofia. Anche se di loro non c’è traccia nei libri, perché gli uomini hanno scelto chi poteva entrarci. Non possiamo dire ‘no’ alla violenza sulle donne se non diciamo no a tutto questo, perché la violenza prende forma sempre dalle parole”.
E di parole, in un momento in cui perfino ai piani alti del potere c’è chi le nega, ha parlato anche la direttrice Agnese Pini: “Pensate alla parola femminicidio, fino a 15 anni fa non esisteva, oggi identifica la vita delle donne che sono state uccise, che hanno lottato per dire no, che ne sono rimaste vittime. Quindi è una battaglia anche di parole, per contrastare la violenza e la discriminazione. Per cambiare le cose serve un lavoro quotidiano di donne e uomini. Siamo tutti coinvolti, non c'è nessuno che possa dirsi escluso”.
“Pronti ad accogliere la Fondazione Cecchettin”
Un impegno comune ribadito a gran voce dai rappresentati della politica locale. La sindaca Sara Funaro, nello specifico, ha lanciato una frecciatina al governo, indirizzata verso Valditara, aprendo simbolicamente le braccia alla Fondazione Cecchettin: “Chi dice che il patriarcato non esiste più deve stare molto attento, perché chi rappresenta le istituzioni è un esempio per i nostri cittadini e quelle parole rimangono. La città di Firenze è pronta ad accogliere la Fondazione Cecchettin”. Sull’importanza di parlarne e di farlo nel modo giusto, si è espresso anche il governatore Giani, partendo da quelli che sono i dati attuali toscani “una delle cose da fare è far emergere i dati, basta con l’omertà. Tutto deve essere detto perché tutto può essere contrastato, anche questo è un fatto di cultura e quella cultura che uomini e donne devono contribuire a far crescere”.
Uomini e donne alleati
Il calore della piazza era talmente forte, da far sentire al sicuro. A tal punto che la stessa scrittrice Antonella Lattanzi, che si era preparata una lettura, ha infine deciso di condividere la sua esperienza personale. “Sono arrivata qui con l’idea di leggervi qualcosa, invece ora voglio parlarvi del mio aborto. Perché è importantissimo oggi parlarne per tutte le donne hanno subito violenza ostetrica, tutte le donne che hanno subito violenza ginecologica, che hanno paura di fare un figlio e non lo possono dire per il timore di essere etichettate come ‘snaturate’. Anche questa è violenza”.
Ed è violenza quella subìta da Cinza Th Torrini: “La realtà è che ho sempre dovuto lottare. Primo schiaffi a 15 anni, dal mio primo ragazzino, poi seguito da anni di abusi, di violenze. Ma ad aiutarmi è stata mia mamma, che mi ha fatto uscire da quel circolo di violenza, è stato grazie a lei. Io racconto questa mia storia personale perché sia di aiuto a tutte le donne che ci si trovano oggi”.
“Le donne nel mio paese vivono in un sistema oppressivo, dove non hanno diritto di uscire, di parlare, di lavorare, non hanno nemmeno un volto – ha detto la scrittrice Saliha Sultan Mohamad, originaria dell’Afghanistan – Io sono fortunata, io sono privilegiata, io sono scappata. Ma mi chiedo perché in un paese così emancipato come l’Italia, vengano uccise ancora le donne?”.
Una domanda che inevitabilmente chiama in causa gli uomini. A loro si è voluto rivolgere l’attore Francesco Montanari: “Voglio lanciare una riflessione ai miei cari fratelli ometti. Non facciamoci sobillare, vincere dalla paura del cambiamento, ma facciamo in modo che questo cambiamento sia la nostra rinascita. Se ci mettiamo nei panni delle donne per un attimo come vivremo noi uomini? Se fosse il contrario come ci comporteremmo? Capisco che è difficile, in un momento storico molto complicato che ci allena continuamente all’individualismo, alla solitudine, alla non condivisione, abbiamo un dovere verso noi stessi ed è conoscere l’altra persona perché solo conoscendo l’altra persona impareremo davvero a definire noi stessi e rispettare noi stessi”.
Per dirlo con le parole di De André, sulle cui note si è chiusa la mobilitazione, “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”. Lo siamo tutti.