LUCA
Cronaca

Vita e teatro di Shakespeare. Il quarto centenario della nascita. La firma dell’attore Giorgio Albertazzi: "Per me lui è l’universo"

Al geniale artista fiorentino "La Nazione chiede un articolo pubblicato il 23 aprile 1964 "Una miriade di sensazioni, dalla lettura del libro stampato fino all’interpretazione sul palcoscenico".

Giorgio Albertazzi è stato un attore e regista teatrale. Fu anche uno dei primi divi della televisione

Giorgio Albertazzi è stato un attore e regista teatrale. Fu anche uno dei primi divi della televisione

A Giorgio Albertazzi che in questi giorni è a Firenze, acclamato interprete di Amleto, abbiamo chiesto qualche pensiero su clò che Shakespeare significa oggi per l’attore moderno.

Shakespeare. Un attore non dovrebbe parlarne, dovrebbe solo interpretarlo. I compito di un attore non è l’esegesi, è l’interpretazione. Ecco, vorrei rievocare una visita a Stratford, quello che diceva la guida... Ma a che serve? Shakespeare è fuori di ogni richiamo reale, per un attore. E’ l’universo. E un malessere che si porta nel sangue e che alla fine bisogna affrontare per guarirne, per strapparsi di dosso questa febbre (e mettersi addosso un’altra febbre, chiaro).

Il primo incontro con Shakespeare in palcoscenico: una parte di banco, una particina come si dice. nel Troilo e Cressida con la regia di Visconti a Boboli. Un’estate piovosa, una serie di prove generali iniziate rinviate per il maltempo. stata la prima volta, poi sono venute le prove più impegnative a cominciare da un Ro- meo e Giulietta con la compagnia del Teatro Nazionale (c’erano Gassman e Edda Albertini, Girotti, Vivi Gioi, Foà): e poi Romeo e Giulietta a Verona, con Annamaria Guarnieri che oggi mi è ac canto come Ofelia. E il fool nel Re Lear con Ricci e la regia di Franco Enriquez: e tre edizioni diverse del Sogno di una notte di mezza estate e finalmente l’Amleto: il pri mo e il secondo Amleto.

Ma il primo incontro con Shakespeare non è stato in scena, naturalmente, è stato sul libro stampato, alla lettura: quando si è ragazzi, quando ancora non si pensa a diventare attore di professione. E tuttavia il teatro ci tiene e ci corrode dentro, Shakespeare viene avanti con la sua magia fiabesca, ci affascina, ci Incanta. Cosi diverso da tutti gli altri drammaturghi, cosi capace di condurre la fanta sia per i sentieri più lontani da quelli comuni. Ci si imbeve di Shakespeare, ci si esalta in Shakespeare. Poi, lo si ve de rappresentato: e nasce l’inquietudine di potere un giorno anche noi vestire quegli abiti, dire quelle battute (ho già raccontato che il primo Amleto che vidi, qui a Firenze, alla Pergola, con Ricci, mi è rimasto a lungo nella me moria, perchè mi rivelò che si poteva essere attori, si po- teva conquistare la libertà: che altro cerchiamo nella vita se non questa conquista della libertà?).

Shakespeare alla lettura, Shakespeare alla rappresentazione. Due Shakespeare già diversi fra loro e ancora iden tici: perchè affascinano, stimolano, suggeriscono, incantano, ma non sono ancora la penetrazione totale, la totale conquista. Questo avviene più tardi, via via che in palco scenico, sera per sera, bisogna affrontare personaggi nuovi, personaggi antichi, personaggi che amiamo o dei quali diffidiamo ma che chiedono di essere realizzati e finiscono con l’impadronirsi di noi.

E allora che Shakespeare non è più quello che ci apparve negli anni giovani: ma si tramuta in una presa di coscienza totale, definitiva, che non ci abbandona più. Ci avviciniamo a lui con una dimensione diversa, apprendiamo da lui quello che fino ad allora era stato un presentimento indeciso. La coscienza. Ecco. In questa riconosco Shakespeare. La coscienza nel suo significato più esteso, più definitivo. Non parlo, chiaro, solo del lato artistico, parlo di quanto il vocabolo implica di umanità.

Ma ho detto che il compito di un attore non è l’esegesi: è l’interpretazione. Mi fermo qui. Non vorrei ripetere cose già dette al momen to in cui ho affrontato il personaggio più importante della carriera di ogni attore, Amle to. Non vorrei tornare sull’argomento che mi interessa da vicino e sul quale ho già scritto e detto molto, spesso frainteso, spesso male inteso. So e questo posso dirlo che per me la prova di Amleto ha implicato l’attuazione di quanto affermavo sopra. Una presa di coscienza.