Firenze, 29 gennaio 2019 - Il nuovo frutto di una seria ricerca scientifica, indica con l'acronimo “piwi” una varietà di vite resistenti alle crittogame e capaci di battere le malattie fungine, che, al contempo, mantengono però tutte le caratteristiche di aroma profumo e gusto dei propri “genitori” merlot, chardonnay, cabernet-sauvignon e anche sangiovese. Viti che non hanno bisogno di difese chimiche e che soprattutto non hanno niente a che fare con gli ogm.
Questo tipo di ricerca ha attratto l'attenzione del presidente del Consorzio Vino Chianti, Giovanni Busi che rivolge un appello alle Istituzioni e alle imprese agricole della Toscana: “La Regione Toscana – afferma - si deve fare parte attiva, assieme al mondo della ricerca ed al mondo Consortile regionale, per dare vita, in tempi brevi, a un progetto applicativo e operativo sui vitigni resistenti a cui fare seguire una sperimentazione in campo della coltivazione e successiva vinificazione delle uve di cloni di Sangiovese ed altri vitigni tradizionali della toscana enologica”. Il motivo dell'appello? “Siamo ancora fermi – spiega Busi – mentre altre realtà, soprattutto del nord-est Italia, stanno andando avanti e se anche in Toscana non ci iniziamo a muovere rischiamo di restare indietro in un aspetto fondamentale della coltivazione della vite e quindi della produzione vinicola dei prossimi decenni: cioè un prodotto di qualità che risponde a standard ecologici elevatissimi per garantire così sia il produttore che il cliente finale”. I vantaggi di questo tipo di vite, sempre a detta del presidente del Consorzio, sarebbero molteplici. “Basti pensare – puntualizza – che la resistenza totale o parziale a malattie crittogamiche come peronospora e oidio, permette una coltivazione più sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che da quello economico: con l’utilizzo dei vitigni resistenti si risparmia in prodotti fitosanitari: è stato calcolato che ne servono circa l’80% in meno per un risparmio di mille euro circa per anno/per ettaro. Ciò significa non solo non sprecare risorse ma anche tutelare il nostro ambiente. Anche se le viti resistenti sono ormai frutto di una ricerca datata, e oggi il mondo della ricerca va verso il nuovo rappresentato dal cosiddetto “genome editing” o “cisgenesi”, è importante avviare fin da subito, con le autorizzazioni regionali del caso, un processo di prove tecniche in pieno campo approcciando l’argomento in modo laico e senza pregiudizi”. Da qui l'invito alla Regione Toscana “a far partire la sperimentazione, indistintamente per igt, doc e docg, piantando vigneti con questi nuovi cloni resistenti alle malattie con particolare riguardo alla peronospora ed oidio. Ovviamente dovranno essere fatte prove di vinificazione delle uve ottenute, sui cloni dei vitigni classici toscani, a partire dal Sangiovese nelle sue varie declinazioni, per verificare se il vino che si otterrà da queste uve sarà in linea con qualità e caratteristiche, tradizione e tipicità delle produzioni enologiche toscane”. “Non possiamo più attendere, - conclude Busi - sostenendo posizioni di retroguardia o mettendo la testa sotto la sabbia, il mondo va avanti e non possiamo rimanere inerti o indifferenti, costringendo le aziende a muoversi autonomamente in una palude amministrativa”. Ilaria Biancalani