Firenze, 2 febbraio 2024 – Chiede di poter avere il liquido seminale che il compagno aveva preventivamente congelato prima di morire, ma l’Asl di Firenze le nega questa possibilità. È la storia di una giovane donna portata alla luce ieri da La Repubblica e finita in tribunale. Il giudice, con una sentenza di primo grado nel 2021, ha dato ragione all’Azienda ospedaliera, ma la vicenda giudiziaria continuerà in sede di appello. Si tornerà in aula ad aprile.
Ma facciamo un passo indietro. È marzo 2019 quando il fidanzato, all’epoca 28enne, con cui la donna aveva intenzione di costruire una famiglia, scopre di avere un tumore. Le cure che deve affrontare possono compromettere la sua fertilità, così decide di congelare il proprio seme. E per farlo si rivolge al Centro per la crioconservazione dell’Azienda ospedaliera universitaria di Careggi. Qui, come da prassi, firma il consenso al deposito e con esso le condizioni: i gameti vengono conservati per 3 anni, in questo lasso di tempo possono essere ritirati solo da lui altrimenti, scaduti i tempi o in caso di morte (come in questo caso) vengono distrutti.
Succede , però, che le sue condizioni di salute peggiorano. Morirà pochi mesi dopo. Ma le sue volontà sono chiare, scritte nero su bianco in un testamento olografo con cui autorizza la compagna a ritirare il campione di sperma. Quando lei prova a dar seguito a questo lascito, il centro le dice “no“. Di fronte alla possibilità concreta che il campione seminale venga distrutto lei, insieme alla famiglia del compagno, assistiti dagli avvocati Matteo Forconi e Roberto Inches, decidono di far causa all’Azienda ospedaliera di Careggi. Dal loro punto di vista le disposizione testamentarie dovrebbero prevalere sul modulo di consenso.
Il nodo della questione è anche un altro ed è contenuto nella legge numero 40 del 2004 che fissa le linee guida sulle procedure di procreazione medicalmente assistita. Questa, secondo la norma italiana, non può essere effettuata nel caso di morte di uno dei due membri della coppia. Il requisito essenziale per la procedura è che entrambi siano in vita. La donna, allo stato attuale, non può quindi dar seguito alla volontà sua e del compagno e provare a dare alla luce il loro figlio. Ma questo, eventualmente, sarebbe il passaggio successivo, come sostiene l’avvocato della famiglia del defunto. Prima c’è la consegna del liquido seminale e su questo la stessa legge non si esprime.
Evidentemente perché si dà per appurato il fine ultimo del ritiro dello sperma, ovvero la fecondazione assistita. Cosa che, appunto, in Italia è illegale post mortem, nel caso in cui si stia parlando di gamete e non di embrione. E lo dà per appurato anche la stessa Asl, nonostante la donna sostenga di volere i campioni solo per conservarli, in attesa (e con la speranza) che cambi la legge. La discussione, poi, è se i gameti possono essere considerati beni, quindi ereditabili. Secondo una sentenza del 2013 del tribunale di Roma sì, ma anche in questo caso la giurisprudenza non parla chiaro. L’etica complica le cose.