
Alessio Bondì
Firenze, 11 aprile 2025 - Un viaggio nel Profondo. Dove il dialetto è lo strumento per generare emozioni condivise e comunitarie, un'estasi collettiva che dal linguaggio arriva a varcare le soglie del Tutto. Dopo l'ispirato esordio acclamato da critica e pubblico con "Sfardo" (2015), il "palombaro siculo", alias Alessio Bondì, ha raccontato in profondità una terra sensuale e primitiva, di incantesimi e malocchi, chitarre solitarie e melodie da processione: "Runneghiè" - uscito lo scorso novembre per l'etichetta Maia e distribuito da Ada Music Italy - è il titolo del suo quarto album, che prende le mosse da uno sguardo critico sulla musica popolare e la tradizione orale siciliana, vissuta dialetticamente come appartenenza e confronto con linguaggi, mode e influenze differenti.
Il sound che stasera porterà sul palco di Sala Vanni nell'ambito della rassegna "Tradizione in Movimento" è figlio degli studi compiuti sugli archivi etnomusicologici e sui documenti sonori registrati nel secondo dopoguerra, quando la musica era ancora rito, preghiera, verso animale: da quel "corpo a corpo" è nato un disco intimo e personale, un mondo polarizzato di atmosfere cupe e gioiose, violenti e dolci, che traghettano nel contemporaneo melodie rurali scandite da tamburi rituali, lamentazioni e chitarre mediterranee.
Una scrittura magica che rende omaggio al patrimonio sconfinato del dialetto palermitano e siciliano, troppo spesso mutilato e autocensurato, ma ancora capace di sottrarsi alla flusso inesorabile della modernità attraversando il mistero della vita e della morte lungo gli echi millenari parlati da famiglie, genti, popoli. E non è un caso se accanto a lui sul palco ci sarà il produttore Fabio Rizzo con la "chitarra mediterranea", uno strumento modificato appositamente da una liutaia proprio per includere quelle note microtonali presenti nelle melodie popolari e arcaiche del bacino mediterraneo. Perché per Bondì la musica è prima di tutto questione di appartenenza.