REDAZIONE FIRENZE

Chi era davvero Shakespeare? “Bisogna seguire le tracce di Dante”

Gli italiani Monaldi & Sorti suscitano la curiosità dello Shakespearean Authorship Trust. Ecco perché

Chi era davvero Shakespeare? “Bisogna seguire le tracce di Dante”

Firenze, 19 marzo 2025 – Chi era veramente Shakespeare? Ce lo può rivelare solo il poeta della Divina Commedia. E grazie al “metodo Dante“, a Londra un romanzo italiano sta facendo discutere. Sono secoli che si litiga sull’identità dell’autore di Amleto e Macbeth, la cui biografia è oscura e basata su scarsissimi documenti. L’enigma ruota soprattutto intorno all’Italia, dove sono ambientati tanti celebri drammi del Bardo, dalla Venezia di Otello alla Sicilia di Molto rumore per nulla.

monaldiesorti
Monaldi & Sorti

Riferimenti e citazioni dalle opere letterarie italiane sono innumerevoli, ma nessun documento autorizza a pensare che lo Shakespeare “storico“ nato a Stratford abbia mai messo piede nella Penisola, o almeno che capisse l’italiano. Da qui il sospetto che dietro alla sua penna si nascondessero uno o più “italofili“, collaboratori e suggeritori (o perfino ghostwriter). Ora nuove ricerche stanno avvicinandosi alla soluzione, e la chiave del mistero passa per Dante Alighieri, del quale quest’anno si celebrano anche i 760 anni dalla nascita.

L’annuncio è stato dato dallo Shakespearean Authorship Trust (Sat), nato a Londra nel 1922 con la missione di indagare sull’enigma dell’identità di Shakespeare. Della prestigiosa associazione sono membri studiosi e docenti universitari, registi, sceneggiatori, e anche grandi interpreti di teatro, TV e cinema come il leggendario sir Derek Jacobi, e il primo sovrintendente del rinato Globe Theatre, l’attore e regista Mark Rylance, partner al cinema di divi hollywoodiani come Johnny Depp. Il Sat ha in uscita un intervento degli italiani Monaldi & Sorti, conosciuti per i loro romanzi storici e ora diventati un collettivo (alla coppia Rita Monaldi e Francesco Sorti si è aggiunta la figlia maggiore Theodora).

 Il Sat, infatti, ha puntato la lente sul rapporto Dante-Shakespeare dopo aver letto in anteprima la traduzione inglese del romanzo di Monaldi & Sorti, Dante di Shakespeare – Amor ch’a nullo amato, primo volume della trilogia pubblicata in Italia tra 2021 e 2024 da Solferino, in cui si raccontano Dante e la nascita della Divina Commedia come se fossero state narrate da Shakespeare in un immaginario dramma perduto. Nelle appendici storiche del romanzo, Monaldi & Sorti hanno confermato con nuovi elementi che l’autore delle opere di Shakespeare, chiunque egli fosse, doveva avere una conoscenza approfondita della Divina Commedia, e quindi per “smascherarlo“ bisogna seguire la pista dantesca.

Il testo shakespeariano, infatti, è spesso così vicino all’originale dantesco che l’autore non può non aver letto con i propri occhi le terzine originali. Parlano chiaro alcuni dettagli, come il famoso verbo “incielare“ (=collocare in Cielo) inventato da Dante, ripreso letteralmente da Shakespeare in Misura per misura con il neologismo “ensky“, per di più in un identico contesto (si parla di una suora clarissa vittima di un ricatto sessuale/matrimoniale: Piccarda in Dante e Isabella in Shakespeare). Altro esempio è il famoso «pane altrui» degli esiliati, che «sa di sale», nel XVII canto del Paradiso.

Come ha notato la studiosa australiana Vivienne Robertson, citata da Monaldi & Sorti, ritroviamo identica immagine poetica e stesso contesto nel Riccardo II di Shakespeare: quando Bolingbroke ritorna in patria elencando le sofferenze che ha patito durante il bando, ricorda il «mangiare il pane amaro dell’esilio» («eating the bitter bread of banishment»). Apparentemente c’è una piccola differenza (salato o amaro), invece è una conferma. A Oxford circolavano vari commenti della Divina Commedia, tra cui quello a cura di Cristoforo Landino (prima edizione Venezia 1481, poi spesso ristampato) che così spiega il passo dantesco: «proverai come sa di sale, cioè quanto pare amaro». Non a caso, nelle traduzioni inglesi di questo passo della Commedia (tutte ovviamente pubblicate dopo l’antico commento del Landino) il pane viene definito «bitter», cioè amaro, e non salato.

Come sono arrivati Monaldi & Sorti a queste conclusioni? «Un membro del Sat, venuto a conoscenza dei nostri studi su Dante e l’identità di Shakespeare pubblicati nel terzo volume della trilogia, ci ha incoraggiati a continuare su questa linea, tanto più che i brani shakespeariani con i quali abbiamo scelto di raccontare Dante mostrano singolari analogie con la Divina Commedia. Abbiamo ripreso le ricerche in questa direzione e siamo giunti a conclusioni che ora verranno pubblicate nell’edizione inglese».

Presidente del Sat è il docente di letteratura inglese William Leahy, decano della Faculty of Arts alla Brunel University di Londra e al Mary Immaculate College di Limerick. Leahy non ha dubbi che dietro a Shakespeare si possano celare più autori, e sull’importanza del “fattore Dante“ non usa mezzi termini: «Sono certo che gli scrittori dei drammi di Shakespeare conoscevano l’opera di Dante. E conoscevano l’italiano. Mentre così non è per Shakespeare. E questa conoscenza ha implicazioni per la nostra comprensione di chi ha scritto i drammi». A novembre a Londra sono in programma reading del loro romanzo in alcuni club londinesi di tradizione. Perfino il volto di Dante dovette essere familiare al vero Shakespeare: nel primo volume della trilogia Dante di Shakespeare, Monaldi & Sorti hanno mostrato che il primo ritratto dell’esule fiorentino pubblicato in Inghilterra, con il classico cappuccio e il naso aquilino, uscì dai torchi di un tipografo londinese, Thomas Purfoot, che operava nella cerchia di Shakespeare. Il volume si chiamava Wits Labyrinth, ed era un gioco mnemonico da tavolo basato su una serie di figure, tra cui quella del poeta. Il gioco era stato creato in Italia, e a Londra era stato ristampato cambiando diverse figure, ma non quella di Dante che evidentemente era ben familiare al pubblico. Il tipografo Purfoot stampava le opere del Bardo ed era collegato ad altri due nomi della sua cerchia, Matthew Law e il suo socio Andrew Wise, il più attivo degli editori del drammaturgo durante la sua vita. Il Wits Labyrinth inoltre veniva venduto al negozio di William Jaggard, che pubblicò opere di Shakespeare per oltre vent’anni compresa la famosa raccolta detta First Folio.

«Ai tempi di Shakespeare», spiegano Monaldi & Sorti, «l’italiano era una sorta di lingua franca, anzi uno status symbol. Molti aristocratici erano disposti a investire soldi in libri e lezioni di lingua. Prestigiosi intellettuali italiani, residenti o di passaggio a Londra (basti pensare a Giordano Bruno o ad Alberico Gentili. docente a Oxford e fondatore del diritto internazionale) erano parte viva della cultura del tempo. I loro scritti spesso venivano “saccheggiati“ dagli autori britannici, Shakespeare incluso. Pene d’amor perdute ad esempio è basato sulla commedia Il Candelaio di Bruno, che come la Divina Commedia non era tradotta in inglese. Certo, il dibattito sul “vero Shakespeare“ in Inghilterra è un nervo scoperto, perché il Bardo fa parte dell’orgoglio nazionale, ma le cose stanno migliorando. Prendendo come cartina di tornasole Dante, l’unico modello letterario all’altezza del Bardo, crediamo che molti pregiudizi cadranno».

Ma chi si cela dietro al mistero Shakespeare, secondo il “metodo Dante“? Rispondono Monaldi & Sorti: «I candidati possibili sono più d’uno e non si escludono necessariamente a vicenda. Philip Sidney, già proposto come alter ego dello Shakespeare giovane, attinse sicuramente alle opere di Dante ed ebbe come “erede“ sua sorella, la contessa di Pembroke, raffinata intellettuale e anche lei già proposta da alcuni come ispiratrice del Bardo. Ma il rapporto con Dante è presente anche in altri grandi letterati e conoscenti di Shakespeare come Cristopher Marlowe, Ben Jonson, Edmund Spenser e Thomas Kyd. L’italoinglese John Florio, nato a Londra da madre inglese e padre fiorentino, nei suoi dizionari bilingue registrò decine di passi della Commedia, che poi in buona parte si ritrovano nei drammi del Bardo, spesso con una fedeltà straordinaria all’originale dantesco. E anche i coltissimi Edward de Vere e Francis Bacon, due classici “candidati“ per risolvere l’enigma Shakespeare, frequentavano intensamente la nostra letteratura ed è praticamente impossibile che ignorassero Dante. È comunque affascinante che per diradare la nebbia dal volto di Shakespeare si debba ricorrere all’altra colonna della letteratura di tutti i tempi. Come diceva T.S. Eliot (ripreso poi anche da Harold Bloom), “Dante e Shakespeare si dividono il mondo moderno. Un terzo non c’è”».