MICHELE BRANCALE
Cultura e spettacoli

D’argilla e neve la poesia di un "cuore disarmato"

Il nuovo libro di Maria Pina Ciancio, tra bilancio e punto di fuga

Maria Pina Ciancio

Maria Pina Ciancio

Firenze, 11 settembre 2023 - “Quando scrivo poesia è per difendermi e lottare, / compromettendomi, / rinunciando a ogni antica mia dignità: / appare, così, indifeso quel mio cuore elegiaco/ di cui ho vergogna”. Pier Paolo Pasolini ritraeva in questi termini la sua passione per la versificazione. La scrittura poetica è un passione per Maria Pina Ciancio, lucana di origine e da poco approdata nella provincia romana, di cui è uscito in questi giorni D'argilla e di neve, edito da Ladolfi (prefazione di Andrea Di Consoli), nel quale modula la sua capacità espressiva su più registri, facendo combaciare bilancio e punto di fuga.

Nelle Storie minime (2009) Ciancio aveva raccontato in versi l'umanità che resisteva nei paesi dove, per effetto delle partenze dovute a successive migrazioni, dalla più povera per lavoro alla più “ricca” per studiare nelle grandi città, “ci siamo dimezzati”. Era un'allusione non solo demografica, ma faceva riferimento a uno stato d'animo che Anna Ventura ha riassunto in questa espressione: “Non chi parte ma chi resta parte davvero”. Ciancio ne approfondisce il senso in questi termini: “Chi parte non sa che i paesi / ci invecchiano in fretta / Abbiamo appena vent’anni / e siamo già dentro un fogliame / di silenzi e ricordi / e anche se amiamo / resta sempre una ruga / incompresa / nel fondo degli occhi”.

Ciancio è tornata, bambina, dalla Svizzera alla Lucania, vi è cresciuta ed è, da qualche anno, ripartita per un nuovo approdo. Certo, oggi si può ritornare da dove si è partiti con più facilità. La “lucanità” diventa occasione di festa in altri luoghi, come a Firenze da alcuni anni e in questi giorni per la Settimana lucana. Le distanze geografiche non sono così lontane come potevano esserlo fino alla fine degli anni Settanta del Novecento scorso. La Basilicata di allora presentava lontananze interne, in termini di tempo di raggiungimento, che oggi fanno sorridere (ma solo perché ci sono le superstrade; se si prendono le vecchie statali si ripiomba nel mondo antico, a volte incontrando le stesse buche di anni e anni fa). Il “dimezzamento” comportava un senso di ferita che assume nuove dimensioni e caratteristiche quando si parte e si pone dimora in una nuova località e in mezzo si sono verificati fatti importanti (Assolo per mia madre, 2017). E si ha un'altra età. 'D'argilla e neve' sono elementi non secondari di questo dimensionamento in cui trovano posto le cose più vere e delicate, che sono modellate con sapienza per prendere forma o sono già in sé ricche di una trama perfetta che incanta chi guarda mentre muta il paesaggio (“... fiori d'argento alla finestra”). Il ricordare malinconico che richiama all'attesa di una realtà più piena, che non c'è, può diventare una trappola: “Tienimi sopra le ginocchia / come un tempo / quand'ero bambina / e la testa senza pensieri / si perdeva in una storia lontana / dove io non sapevo / e nessuno moriva” (Tenimi supa i cunucchi / cum na vota / quann jeru vagnona / e a capa senza pinsieri / si ni ja ‘nda na storia luntana / addu j eru cicata / e nisciunu muria). Nel suo versificare libero, Ciancio avverte come, nonostante la trasparenza d'intenti “talvolta tornano i ricordi / a prendersi lo spazio / della luce”. E' umano che sia così, come lo è riproporre in alcuni luoghi la visione di chi non ci vive più: “Il vento s’alza e cerca l’uomo sul muretto / quello che ingoiava stelle in mezzo ai boschi / per suo figlio nato muto / con un cardo già appassito /dentro agli occhi”. Ma tutto può invece diventare una risorsa, la consapevolezza “del corpo disarmato” dove perdura la grazia, resiste la bellezza, si fa strada una compassione che guarda avanti e si pronuncia una benedizione, “essere abbraccio lì dove si è”. Questa nuova prova di Ciancio presenta alcune efficaci prose poetiche (ad esempio quella dell'uomo delle castagne e la sua cicatrice) e cinque riuscite poesie in dialetto lucano, una delle quali (Stanotte ma scipperu), esprime compiutamente il senso di passaggio che percorre tutta la raccolta, alla ricerca di una sana leggerezza: “Stanotte ma scipperu / e a jtteri i cani / a rarica du coru / e pu’ mi ni vuler j / mienz a na via / pisula e liggera / cum a niva” (Stanotte me la strapperei / la radice del cuore / e la getterei ai cani / poi me ne vorrei andare/ per la strada/ soffice e leggera come neve). Dopo l'argilla, la discesa pacificante della neve.