Firenze, 6 marzo 2020 - Ha lo stesso volto sofferente e rassegnato di Oloferne che sta per essere decapitato da Giuditta. Anche l’andamento della stoffa del perizoma ricorda il panneggio della veste dell’eroina biblica. E poi la plasticità dei muscoli, così simile al Crocifisso di Santa Croce. Sono alcuni degli indizi rivelatori che, messi a confronto con dettagli di opere autografe, hanno convinto gli esperti a dire sì, quello è davvero un crocifisso di Donatello.
Il piccolo-grande miracolo è accaduto nella chiesa di Sant’Angelo a Legnaia, dove è stato ritrovato un Crocifisso ligneo della Compagnia di Sant’Agostino, che non sarebbe più di un anonimo artista della prima metà del XVI secolo. Ma addirittura realizzato dalla mano di Donatello e quindi retrodatato di almeno mezzo secolo.
Possibile che a distanza di tanti secoli le chiese di Firenze continuino a svelare simili tesori, e che nessuno si sia accorto prima che a modellare quel Cristo fosse stato il padre della scultura italiana del Quattrocento? Sì, è possibile. Specialmente se non ci si decideva a togliere le cinque ridipinture, aggiunte in epoche diverse e secondo la moda del momento, che ne modificavano i volumi e il pathos.
La scoperta è arrivata infatti con il restauro, che ha confermato però quanto già intuito da Gianluca Amato, storico dell’arte che nel 2013 ha svolto una tesi di dottorato all’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, dedicata ai Crocifissi lignei toscani fra tardo Duecento e prima metà del Cinquecento. Il Cristo Crocifisso di Legnaia, che si ritiene sia stato scolpito tra il 1461-66, è di dimensioni ridotte: 89 centimetri di altezza e 82 nella larghezza delle braccia. Ha un peso estremamente contenuto di poco più di tre chili, escludendo la croce che lo sorregge e che non è originale dell’epoca. La leggerezza, e il fatto che si cavo all’interno, suggerisce che si tratti di un crocifisso processionale, ‘alleggerito’ proprio per essere portato al cospetto dei fedeli e condotto lungo le vie del piccolo borgo di Legnaia.
Scolpito in tre masselli di pioppo, costitutivi del corpo e degli arti superiori, è giunto a noi sostanzialmente ben conservato, tranne che per l’elaborazione plastica della testa e delle estremità inferiori delle ciocche di capelli. Le analisi dei materiali, delle tecniche di esecuzione e la comparazione dei dati stilistici ed espressivi, hanno consentito allo studioso di scultura del Rinascimento, di ricostruire le vicende artistiche del Crocifisso che lo hanno condotto fino a Donatello.
“La paternità della scultura si basa su solidi riscontri stilistici _ spiega Gianluca Amato _ e si configura come un’opera emblematica della produzione tarda di Donatello, databile nei primi anni sessanta del Quattrocento. A Legnaia l’artista riaffronta il tema del Crocifisso in maniera diversa rispetto ai suoi monumentali esempi precedenti. Molti aspetti dell’intaglio di Legnaia offrono riscontri stringenti con l’Oloferne del gruppo mediceo della Giuditta, che si trova nella Sala dei Gigli a Palazzo Vecchio. A ciò si aggiungono le similitudini tra il perizoma, modellato in tela imbevuta di colla e di gesso, e le intense modulazioni del copioso panneggio della Giuditta”.
L’inedito Crocifisso rappresenta quindi un’opera realizzata da Donatello nell’ultimo periodo della sua vita. Alla fase conclusiva della lavorazione risale la ritrovata policromia originale, paragonabile, a livello concettuale, alle stesure di pittori fiorentini culturalmente affini a Neri di Bicci”. Ad avvalorare l’attribuzione ci sono poi le vicende storiche, che raccontano di un Cristo crocifisso in legno, appartenuto ad una congregazione, la Compagnia di Sant’Agostino, che ebbe sede a partire dai primi anni del Quattrocento nell’oratorio adiacente la chiesa di Sant’Angelo, oggi Oratorio di Sant’Aurelio.
La scoperta del Crocifisso risale al gennaio 2012. Il restauro è stato avviato alla fine del 2014, finanziato con fondi della Soprintendenza speciale per il polo museale fiorentino e per la città di Firenze. Grazie alla volontà congiunta di due figure molto attive a Legnaia in quegli anni, il parroco don Moreno Bucalossi, e Anna Bisceglia, funzionaria storica dell’arte della Soprintendenza, la chiesa “vecchia” di Legnaia aveva visto una serie di importanti interventi di restauro su alcuni dei dipinti conservati al suo interno. Il restauro del Crocifisso ligneo che era nell’anti-cappella dell’Oratorio diventava il giusto coronamento di un’importante campagna di interventi conservativi a Legnaia.
Il restauro dell’opera, condotto da Silvia Bensi, ha avuto inizio solo dopo aver sottoposto l’opera ad una campagna di indagini diagnostiche per individuare ed analizzare gli strati pittorici. Le indagini stratigrafiche compiute al microscopio ottico polarizzatore hanno rilevato la presenza di ben cinque interventi pittorici sovrapposti, eseguiti in periodi differenti, intervallati da almeno cinque pellicole di sostanze organiche. In E’ stato deciso di rimuovere tutti gli strati di materiali sovrapposti che deturpavano la superficie dell’opera, per portare in evidenza il carnato originale, o comunque il più antico in senso cronologico.