MICHELE BRANCALE
Cultura e spettacoli

Il paradiso che non dimentica i nomi degli altri

Lo sguardo di Higuera da Città del Messico a Firenze per non perdersi nel "mestiere dell'abitudine rumorosa"

Carlos Higuera

Firenze, 24 dicembre 2019 - Il paradiso non dimentica i nomi che sembrano perduti nelle pieghe profonde della storia. Non li dimentica “il piccolo Dio disgraziato” che nasce in una grotta e che dispensa la grazia di un cuore sensibile. Il paradiso non dimentica i nomi "dispersi” dei dispersi, anzi li ripete. Nomi scritti sui cartelli, nomi di donne che non vedi ma che sono come incisi nella croce rosa innalzata a Ciudad Juarez, teatro di ferocia contro tante ragazze in Messico. Neanche Carlos Higuera vuole dimenticare. Questo giovane scrittore messicano che insegna a Morelia, traduce poeti italiani, e ha tenuto alcuni corsi nelle università italiane come quella di Firenze, ha voluto dedicare 'Ti nomina il paradiso', edito da Ladolfi, proprio a loro “che avevano desiderato di essere nate/ in un luogo di frutti amari e/ destini chiusi... Voi e noi che rimaniamo qui / apparteniamo allo stesso tempo. / Noi sopravviviamo, ma non del tutto”.

Due sono le sezioni del volume: 'Il paradiso ti nomina', curato in particolare da Martha Canfield, con undici poesie, in originale e in traduzione, alcune delle quali variazioni su testi della poetessa Gianna Piccini, il cui vero nome era Raluca Albus (1906-1934), nata a Bucarest e fiorentina d'adozione, e le sei composizioni de 'L'ultima architettura del vento' che presenta anche un 'Manuale per combattere la morte' (in prosa). Chiude il libro il commento critico di Martha Canfield e Marco Benacci che parlano di arte poetica coraggiosa, che non può permettersi di dare spazio alla paura e alla rassegnazione, “poesia che ha accettato la convivenza col negativo e sceglie, attraverso le parole, di non far finta di niente, sebbene la sensazione che domina è quella di una malinconica sopraffazione. Scrivere diventa un consenso all'ispirazione e un dissenso a chi quell'ispirazione vorrebbe far desaparecer, scomparire”.

Proprio nel 2017, con il Centro studi Jorge Eielson, fu esposta presso il corridoio Brunelleschi della Biblioteca umanistica dell'università di Firenze, la mostra 'Sangre de mi sangre' di Estela Peri basata sul tema dei desaparecidos e dei loro parenti durante la dittatura militare in Uruguay. “Si presentò anche Higuera – ricorda Canfield - che lesse alcuni suoi componimenti”. Higuera non nasconde le ferite profonde della storia. Sa che vi sono esseri umani che “evaporano nel nulla per mano di trafficanti di droga o di persone, o chissà da chi...” Ci si potrebbe abituare per rassegnazione, un po' come accade ancora più colpevolmente nelle nostre democrazie infragilite dalla logica della cosa successiva da annunciare, da vedere e da oltrepassare. E' quello che Higuera definisce “il mestiere dell'abitudine rumorosa”, con cui si ascolta niente e non si dice niente, e si spengono i canti “in un silenzio oscuro”. Eppure si apre una feritoia per dimettere quest'abitudine quotidiana: “Non voglio scendere in una tomba/ scivolando dentro di me come un'ombra”.

Al viaggio nelle città-baraccopoli del sud America fa da contraltare la passeggiata che Higuera compie a Firenze dove “le strade seguono un corso da oceano stanco./ Fuori dalle case/ sono buttati a terra/ alcuni libri inutili,/ alcuni giornali usati,/ eredità di cristalli sconosciuti/ come una memoria squarciata”. Ma ogni passo in lui, quale che sia la città percorsa, lascia l'impronta di un itinerario disegnato nel profondo, da scoprire ogni giorno, nel tempo e oltre la sua frontiera terrena. Ed è significativo che Higuera abbia scelto come esergo alcuni versi di Luciano Fintoni (1935-1991), che bene colgono questa linea di fondo: “Certo quello che cerco è più lontano/ dell`India e della Cina, il Paradiso/ desidero, il verde Paradiso/ che cercai lungo gli anni. Era uno strano/ brivido, dentro il cavo della mano”.