CARLO CASINI
Cultura e spettacoli

L4vin, rapper fiorentino: "Il mio primo singolo nato nelle notti in ospedale"

Il giovanissimo aspirante cantante: "Avevo un grosso problema fisico, ma insieme alla medicina mi ha curato la musica"

L4vin in un frame del videoclip di "Quanta Rabbia" al parco dell'Argingrosso

L4vin in un frame del videoclip di "Quanta Rabbia" al parco dell'Argingrosso

Firenze, 13 settembre 2024 - Lo incontriamo a San Bartolo a Cintoia, uno di quei circoli, l’Mcl, che raccontano le mille facce di quell’estrema periferia fiorentina dimenticata dei colletti bianchi, di quel proletariato urbano che dai palazzi scintillanti del centro si vuol nascondere come polvere sotto al tappeto e invece germoglia autenticità. La faccia ancora pulita, imberbe dei vent’anni, contrasta con i due metri spaccati d’altezza, ma soprattutto con lo sguardo da uomo che fa trasparire la consapevolezza da adulto, trasuda dolore e rinascita.

L4vin, all’anagrafe Nicolas Fastame, è un aspirante rapper che i suoi 22 anni se li è vissuti tutti all’Isolotto. E non potrebbe essere altrimenti, perché è proprio da quell’humus suburbano che ha trovato ispirazione per i suoi testi, gli scenari che appaiono nel videoclip del suo singolo uscito in primavera, “Quanta rabbia” (videoclip ufficiale su Spotify, versione integrale si Digital store Apple store e Spotify): Ponte all’Indiano, le case popolari, il parco dell’Argingrosso.

D’altra parte, se il nome L4vin trova ispirazione Oltreoceano nel cestista dell’Nbi Zach LaVine, quel 4 al posto della A richiama il Quartiere di queste longitudini d’Oltrarno: non a caso il profilo Instagram è @L4vinQ4. Ma c’è di più dell’Isolotto nella sua narrazione: “Quanta rabbia” è una storia di sofferenza, ripartenza e speranza, di un’adolescenza segnata da un problema fisico che L4vin ha superato dopo anni di dolore, interventi, ospedali. E a salvarlo è stato proprio il rap, una passione tramandatagli dal padre Christian. L4avin, come nasce questa canzone? “Quanta rabbia parla di quello che ho passato nella vita, degli stati che ho affrontato, del percorso che ho fatto, finché piano piano ne sono uscito. Ho avuto molte operazioni, di cui una grossa alla schiena dove sono stato in terapia intensiva una settimana (“Ancora non mi scordo di quei giorni sai vissuti/era tutto un inferno/ un c...o aveva senso/ (…)/ in terapia intensiva/ ci ho fatto sette giorni non trovavo via d’uscita”, ndr). E non è stata solo la settimana in ospedale, ma anche il ciclo di due anni dove ero impossibilitato a fare tutto, andare a giro con gli amici, cercare un lavoro”. Unica fedele compagna in quelle notti insonni, tormentate da dolori lancinanti, la musica… “Grazie alla musica e alle notti che ho passato a scrivere mi sono riassestato. È stata la vera medicina. Una passione che mi ha trasmesso mio babbo che faceva il dj e ha vissuto la scena rap degli anni 90. Mi portava a concerti di artisti come Snoop Dogg che hanno segnato questo genere. Ho iniziato facendo freestyle a 12 anni e nel 2020 ho cominciato a scrivere. Questo maggio 2024 ho lanciato il primo freestyle; a luglio poi è arrivato il primo video registrato in uno studio. Ma non è un punto di arrivo, anzi, è un punto di partenza rispetto ai progetti che ho per il futuro”. Certo il fulcro è stata la lotta con il problema fisico che hai avuto, ma quanto conta l’essere radicato all’Isolotto nella tua formazione artistica?

“Sono molto legato a questo quartiere, qui ho passato bei momenti e brutti momenti. D'altronde crescendo in un quartiere così popolare hai uno sguardo diverso da quello di un ragazzo del centro: ti abitui a circostanze che non potrebbero esistere dentro le mura della città. Mi è servita questa scena popolare per la musica, ma anche per crescere: vedi certa gente che sbaglia, cade, e tu impari a fare in altro modo, dal peggio si impara a prendere il meglio ed evolvere. Certo, l’Isolotto è cambiato molto dalla generazione di mio padre, però tanti ragazzi continuano a perdersi in piccolezze”. È quanto è diverso il rap dei tuoi tempi da quello dei suoi?

“Se guardi gli argomenti di base, il rap serve a raccontare delle problematiche, è iniziato da gente di strada e su quel filone continua. Però, mentre prima si evidenziava il bene, ora invece c’è più realismo: si parla del brutto, della violenza, perché è una cosa che c'è e che c’è sempre stata, non bisogna escluderla dalle canzoni; e quindi si pone l’aspetto più sul lato peggiore della realtà. Il rap è una musica di denuncia e speranza insieme”. Cosa diresti a un tuo coetaneo che si dovesse trovare a fare i conti con un dolore come quello che hai dovuto affrontare tu?

“Di concentrarsi sul livello mentale, perché quello fisico viene da sé di conseguenza. E poi conta molto anche chi hai intorno: io ho una bella famiglia e dei grandi amici che mi hanno aiutato e sostenuto moralmente”.

Carlo Casini