MICHELE BRANCALE
Cultura e spettacoli

Un "americo-italiano" tutto da scoprire: John Ciardi

Esce la traduzione italiana de 'Il perché del pellicano'. La presentazione a Firenze

Un momento della presentazione del libro di John Ciardi a Firenze

Un momento della presentazione del libro di John Ciardi a Firenze

Firenze, 23 dicembre 2024 - Di John Ciardi (Boston 1916 - Metuchen, New Jersey 1986)), americo-italiano, figlio statunitense di emigrati campani nella capitale della cultura Usa, la fine Boston, patria degli irlandesi Kennedy e sede di importanti atenei, è una figura da porre accanto a Joseph Di Donato che trovò “Cristo tra i muratori” mentre per Levi si era fermato ad Eboli, o John Fante, o Arturo Lorenzitti, poeta futurista, socialista, cristiano… I “son of Italy” nati negli Usa sono un capitolo non trascurabile della cultura italiana, in modo diretto e indiretto, perché anche quando scrivono in inglese, una parte della loro testa e del loro cuore, dei loro affetti, in sintesi del loro dna, è sulla penisola bagnata dal Mediterraneo.

Nei giorni scorsi il Circolo degli Artisti 'Casa di Dante' ha promosso un incontro letterario in occasione della riedizione della fortunata raccolta di “favole in versi” Il perché del pellicano di Ciardi da parte di Medusa Edizioni. A seguito dell’introduzione di Giuseppe Baldassarre, il dibattito con l’intervento dei curatori del volume Luigi Fontanella e Annalisa Macchia, che lo ha tradotto. Alla voce di Luisa Puttini Hall era stata affidata la lettura del testo in inglese, mentre l’accompagnamento musicale era a cura del maestro Angelo Pergolini. Dal pubblico interventi autorevoli, come quello di Irene Marchegiani, docente di Letterature italiana negli Usa, traduttrice e autrice. Poeta, etimologo e traduttore (dall’italiano) John Ciardi, per una sorta di sfida con il suo professore, decise di tradurre in modo adeguato la ‘Divina Commedia’, dedicandoci trent’anni del suo lavoro e diventando un riferimento del divin poeta, tanto che la sua traduzione viene ancora utilizzata negli Usa.

Ma Ciardi, alla radice linguistica e culturale italiana e all’ “autodidattica” della traduzione, sui si innestano gli studi universitari negli Usa, unisce la passione per l’origine delle parole (è etimologo) e una curiosità profonda per l’infanzia, di cui indaga genesi di immagini e di linguaggio, che diventano il terreno sui cui fiorisce la sua poesia, anche nella forma dei limericks, composizioni che secondo lo schema Aabba, indulgono all’aforisma. Per esse Ciardi collaborò anche con l’autore di ‘Io robot’, Isaac Asimov.

Negli Usa, ovviamente, si trovano le sue opere e un Fondo Ciardi è custodito presso la Stony Brook University di New York, ma se uno cerca sul web qualcosa in italiano di John Ciardi, trova soprattutto estratti dai limericks: “Non c'è bisogno di soffrire per essere un poeta; l'adolescenza è una sofferenza bastante per chiunque”, “Non c’è niente di sbagliato nella sobrietà a piccole dosi”. Dell’aforisma mantiene Ciardi in poesia il gusto per lo stupore, quando scrive per i bambini, piccoli o diventati grandi. Ci possiamo avvicinare a lui in maniera più rigorosa grazie a questa nuova edizione italiana de 'Il perché del pellicano', maturata una decina di anni fa tra Fontanella e il poeta Alfredo De Palchi e affidata ad Annalisa Macchia, poetessa, che da una vita ha approfondito le tematiche legate alla letteratura dell'infanzia, considerata nei grandi manuali un po' di seconda classe, salvo poi scoprire che uno dei più grandi romanzi dell'Ottocento italiano è il Pinocchio di Collodi. E' essa stessa autrice di opere poetiche e narrative dedicate al “mondo piccino” dell'infanzia. “Sono dovuta entrare nel sistema interno della lingua utilizzata da Ciardi – spiega Macchia – il cui tratto distintivo è un fine umorismo, una lingua 'staccante', incisiva, breve”. Nella resa della traduzione Macchia utilizza spesso l'endecasillabo o il doppio settenario, anche per vedere l'autore che dall'alto scorge un angolo di cielo nel fiume o quando sale sulla cima di un collina: “Lassù non c'è più nulla da scalare. / Ancora un passo e sei nel cielo blu”. La poesia originale è una pietra che cambia colore quando esce dall'acqua della sua lingua per entrare nel liquido di un'altra, misurando così la sfida, evocata da Marchegiani, di mettere insieme senso e suono in modo efficace, come in questa opera tradotta da Macchia e curata insieme a Fontanella.