Firenze, 29 novembre 2024 - “Il viaggio noi / abbiamo sognato tutta la vita. / ma quand'è che una vita/ per dirsi vita/ - e non consolazione / ringhio o agenda - / inizia? / Forse alla fine, / quando tutti veramente / ritornano per salutarci / prima di partire”. Cosa ci dice nel profondo un'assenza? Quella di qualcuno che ci accompagna davvero anche quando non sembra esserci più? Federica Maria D'Amato, nel suo La montagna dell'andare, edito da Ianieri, si fa interprete con un alto risultato lirico di questa domanda che diventa anche una benedizione in forma di ballata che raccoglie “la silenziosa eloquenza dei gesti/... le spine, i cardi, l'erba selvaggia... i cuori amanti degli amati / le guance ardenti dei dimenticati. / Gli angeli che ci parlano scrivendo sui finestrini ... / siano benedetti anche / quelli che imparano a guarire da loro stessi”. Sia benedetto “tutto ciò che bello resterà senza di noi”. Il ministero (e il mistero) dell'assenza, in attesa delle cose ultime, ci interroga ogni giorno. “Oltre la linea fissa del restare”, impariamo già a riposare in altre persone. Ha parlato a riguardo Renato Minore di “una interrogazione del proprio io, fragile, provvisorio, minimo, come lo ha chiamato Lacan” che raggiunge, grazie alla meditazione sugli affetti, “una quasi stabilità”, quella che ciascuno è, ma senza abbandoni: “La poesia è un metro interiore di conoscenza, porta anche a definire il percorso all’altro, che può essere il paesaggio, l’incontro, la solidarietà, la dedizione, il ricordo della perdita”. Federica Maria D'Amato è conservatrice museale presso il Museo Paparella Treccia di Pescara e si occupa di storia dell'arte.
Cultura e spettacoliUn obiettivo di "quasi stabilità". La poesia di Federica Maria D'Amato