Firenze, 30 ottobre 2024 - Felice Carena (1879-1966) è una personalità tersa nella pittura, con un travaglio esistenziale radicato nell'esperienza della prima guerra mondiale, nell'accetazione non servile del fascismo che affascinò non pochi intellettuali, alcuni dei quali, come lui, accusati di collaborazionismo, altri non si sa come passati indenni e riposizionati, nel ripensamento dell'età più lunga attraverso una lettura religiosa matura ed espressa in un "simbolismo" del tutto particolare: quello classico aveva impronta esoterica, per lui invece la trascendenza è già rivelata nella realtà se la si sa cogliere (pensiamo, per analogia, all'acmeismo russo). Conta molto anche la geografia della sua vita, che ha in Torino, Firenze (dove fu alla guida dell'Accademia delle belle arti) e Venezia i riferimenti più stabili. La mostra in corso, fino al 16 febbraio 1925 in Palazzo Medici Riccardi e all'Accademia fino al 21 novembre - per certi versi un'unica esposizione in due percorsi allestiti in modo omogeneo in spazi diversi - consente una riscoperta meritata dell'artista, grazie all'impegno di Magda Grifò, pronipote di Carena, al coordinamento di Valentina Zucchi, responsabile scientifico di Palazzo Medici Riccardi, insieme a Carlo Sisi e Gaia Bindi, presidente e direttrice dell'Accademia, e i curatori Elena Pontiggia, Luigi Cavallo, Susanna Ragionieri e Rossella Campana, e Luigi Cupellini, l'architetto che ha realizzato gli allestimenti.
È stato osservato che c'è una profondità insondabile del suo essere intimamente cristiano poiché intimamente umano, e che il suo interesse prevalente è riconoscere valore spirituale alla figurazione. È vero. Possiamo avvicinarci a tutto questo con due lancette del suo orologio interiore: "Ho amato la luce e i poveri" e "Firenze con la sua tersa e nitida atmosfera mi ha insegnato come nella semplicità asciutta e solenne ci sia più verità che in ogni contorcimento ed esagerata espressione".