Firenze, 9 settembre 2019 - Lo sguardo da duro, addirittura severo, cancella i tratti di un carattere che sorprende subito. Erick Pulgar è un ragazzo sensibile, sereno. Sì, anche timido. E così il contrasto tra il lottatore tatuato in campo, e il giovane che si racconta (in un italiano che scorre alla grande) fra una telefonata ai fratelli e una foto sul Ponte Vecchio, è un contrasto che colpisce. E bello da raccontare.
«Ma a quali domande devo rispondere?», è l’approccio silenzioso e intimidito al faccia a faccia che accompagna Pulgar sul ring della sfida con la Juve. Le domande piovono, una via l’altra, e il centrocampista arrivato dal Bologna si scongela. Anzi, si diverte. E presenta la sua vita. Quella da guerriero in maglia viola e quella da ragazzo tutto famiglia, amici e... tatuaggi.
A proposito di tatuaggi: ma quanti ne ha fatti?
«Non lo so (sorride, ndr). Non li ho mai contati, ma sono tanti e tutti hanno un significato preciso. E’ un modo per raccontarmi».
Tipo?
«Sul collo ho il nome di mia mamma. Davanti quello di mia nonna... Poi, sul petto, ho l’immagine del quartiere della mia città, dove sono nato e cresciuto. E qui, sull’avanbraccio sinistro si può leggere una preghiera».
Già deciso anche il prossimo?
«No, non saprei... e poi...».
Ok, sa già dove e cosa farsi tatuare, ma non si può dire, questione di scaramanzia forse?
«Forse». (e giù una bella risata).
Ci sono di mezzo questioni di cuore?
«No, no, sono single. Ho una famiglia straordinaria. Jean Pool, Cherry, Paola, Cristobal e il piccolissimo M. Regalon, sono i miei cinque fratelli che con papà Pablo e mamma Karina, in settimana arriveranno a Firenze e rimarranno con me per un mese. Sono felice».
Prima volta a Firenze per loro?
«Macché. Giocavo a Bologna e Bologna è molto vicina a qui. Tante volte – e lo facevo anche da solo – quando ero libero prendevo il treno per venire a fare una passeggiata qua. In centro, fra il Duomo, Piazza Signoria e Ponte Vecchio».
La zona stadio invece...
«No, non la conoscevo e mai avrei pensato di venirci a lavorare tutti i giorni, con la maglia della Fiorentina».
Invece, a giugno, i dirigenti viola hanno chiamato il Bologna e il Bologna che le ha detto?
«Ero in vacanza. Di solito non mi piace parlare di calcio o di contratti quando stacco la spina, ma quando ho capito che la Fiorentina faceva sul serio, mi è entrata un’ansia terribile. Volevo sapere, volevo sapere tutto e in fretta».
E alla fine la Fiorentina è diventata la sua casa. Dicevano che a Firenze serviva un rigorista...
«A proposito, sapete perché sono diventato uno che va sempre sul dischetto?».
Che ha fatto? Si è inventato un corso di specializzazione?
«No, è stata ed è una sfida con me stesso. Tutta colpa del mio primo rigore. L’ho calciato in un Torino-Bologna e l’ho sbagliato. Quell’errore mi ha fatto infuriare e da quel momento mi sono detto che sarei diventato imbattibile dagli undici metri. Mi sono allenato e mi alleno tantissimo. E nella Fiorentina, Montella mi ha scelto, insieme a Boateng, come rigorista. Bello».
In campo. Pare che l’intesa con Badelj non sia ancora un granché: problemi di convivenza tattica?
«Per niente. Io con Milan e con Castrovilli sto benissimo e mi sembra quasi di averli avuti come compagni da sempre».
Si metta la tuta da allenatore: lei Pulgar dove lo farebbe giocare?
«Sono un jolly. Mi piace essere e stare ovunque. Non ho un ruolo predefinito. A Bologna, ad esempio, ho giocato anche davanti alla difesa. Faccio il centrocampista centrale, ma posso giocare anche a destra, più esterno».
E se dovesse paragonarsi a qualcuno?
«I miei miei miti, i giocatori che mi sono preso come esempio, da sempre sono Vidal e Busquets».
Tanto per volare basso, eh...
«Di Vidal invidio proprio il ruolo, la posizione. E’ uno che non ha paletti, lo trovi ovunque. In mezzo alla battaglia, sempre. Di Busquets ammiro la tranquillità e la freddezza».
Pulgar, una curiosità, dove ha imparato così bene l’italiano?
«Anche questa è una storia buffa».
Perché?
«Il Bologna calcio aveva organizzato un corso di lingua nel primo pomeriggio. Ogni giorno, dopo l’allenamento e dopo pranzo... In aula ero sempre stanco, disattento, insomma... non studiavo, non mi riusciva. Così mi sono fatto aiutare dai compagni di squadra e ho iniziato a parlare in italiano con loro, specie con i sudamericani, nello spogliatoio... Sono un autodidatta».
Ha lasciato buoni amici a Bologna?
«Mbaye è un grande amico. Era molto dispiaciuto quando ha capito che andavo via. Però... però era contento che mi avesse scelto una squadra ambiziosa e che quindi avrei fatto un passo in avanti in carriera. E’ venuto a trovarmi a Firenze in questi giorni... abbiamo fatto un giro, mangiato qualcosa. Anche a lui piace molto Firenze».
Belle le passeggiate in centro, belle le foto dal Lungarno e poi, qual è il suo passatempo preferito?
«A due cose non posso e non potrò mai rinunciare».
Mica dirà la playstation, spero.
«No, assolutamente. Mi piace ascoltare la musica e il mio genere, unico e intoccabile, è il reggaeton. Poi ho una passione da matti per il biliardo. Sì, gioco a biliardo».
Quindi la Fiorentina oltre a un ottimo centrocampista ha acquistato un campione di biliardo?
«Dai.... campione no, ma me la cavo abbastanza bene. Poi sono arrivato in Italia e mi avete dato subito una grande delusione».
Quale?
«Sono andato in una sala giochi e ho visto che... insomma giocavano sul tavolo con le mani. Tiravano le palle con la mano. Ma per favore... Una cosa orribile. Per me il biliardo è solo quello che si gioca con la stecca. Mira, concentrazione, precisione e colpo secco».
Pulgar, sa che Firenze vanta campioni unici nella storia del biliardo? Insomma, qui abbiamo una grande scuola...
«Bene, bene...».
Pronto a raccogliere qualche sfida?
«Perché no. Io, quando si tratta di biliardo non mi tiro mai indietro».
Che diranno di questo i suoi nuovi compagni di squadra?
«E che ne so... In campo ho altro a cui pensare».
Conosceva già qualcuno che adesso gioca con lei nella Fiorentina?
«Lirola è quello con cui avevo avuto maggiori contatti... Eravamo vicini, lui a Sassuolo io a Bologna e poi entrare in sintonia con calibri come Ribery e Boateng non solo non è un problema, ma è un onore».
Pulgar, chiudiamo così: a chi dice che lei è un tipo ’cattivo’, un ribelle, insomma uno difficile da gestire che risponde?
«Che io sono uno che quando c’è da battersi mi ci tuffo sempre. E non solo a metà campo. Ma anche in difesa e perché no, in attacco. Se fare questo significa essere ’cattivo’... beh, allora non posso dire di no. E sinceramente mi piace».