Firenze, 19 giugno 2023 – Secondo classificato del premio letterario "Racconta la tua Sant'Ambrogio" indetto da La Nazione nell'ambito di "Sale - Sant'Ambrogio in festival" promosso da Teatro del Sale - Cibreo Città Aperta 2002 Firenze è Giancarlo Evaristi con ‘Caro Sant’Ambrogio’. Questo il suo racconto.
“Dopo la guerra, venni nel quartiere di Santambrogio nel 1947 circa. Non ricordo più con precisione, tanto tempo è passato. In Borgo la Croce c’era una modesta casetta dei miei genitori. Mi adattai presto allo spettacolo offerto ogni mattina alle 2 dai carri dei contadini che venivano a portare le loro mercanzìe in piazza Ghiberti, ma soprattutto mi abituai al ragliare dei somari che trainavano i carretti e che sembrava cominciassero a cantare proprio quando entravano in Borgo la Croce. In piazza Ghiberti non c’era ancora il palazzo de La Nazione e in una via laterale prosperava un vecchio postribolo, con la brava fila di militari davanti al portone tutti i santi giorni. C’erano ancora Le Murate e Santa Verdiana, con il loro cario umano dolente. Il negozio Cose Così mi sembra che già vi fosse, è rimasto nell’immaginario collettivo, e poi nella piazza davanti alla chiesa, lavorava il giornalaio, Franco si chiamava, e nella canonica della parrocchia in tanti giovani andavamo a giocare al calcino e poi via a cantare nel coro. Il pasticcere Vinicio Nencioni riempiva le strade del profumo dei suoi dolci, mentre il pollaiolo Giovannino, strabico e sempre accaldato, distribuiva la sua merce e le sue uova a tutto il quartiere. C’erano i negozi a quel tempo, il salumiere, l’ortolano, il parrucchiere che chiamava tutti i clienti maestro, la vita era più semplice in un quartiere abitato da gente non ricca, popolare ma dai fecondi contatti umani giornalieri. Grazie a Dio non c’erano telefonini e nemmeno la televisione, mentre risuonavano alla radio le allegrie del Grillo canterino, di Gano il duro di San Frediano, e di Polvere, il cenciaio di Borgo Allegri, con noi ragazzi che andavamo proprio in Borgo Allegri e domandare del cenciaio senza che nessuno mai potesse darci un risposta. In Via Pietrapiana c’era un lampo di chic, con i negozi di Cresti e dei fratelli Raspini Si andava a giocare al pallone nel Giardino d’Azeglio, quello era il nostro magnifico polmone, da fruire in forma gratuita, stando attenti perché girava spesso “ la pula” e se non stavamo accorti quello ci portava via il pallone senza tanti complimenti. Le elementari nella scuola Luigi Alamanni in Via Farini, passando davanti alla sinagoga degli ebrei, ammirata e rispettata. Non c’era ancora Fabio Picchi a dare una svolta al quartiere e a tutta quella zona, ma in piazza Ghiberti c’era una trattoria, non ne ricordo il nome, dove andavano a mangiare i giocatori della Fiorentina, quella antica, prima ancora che venissero Julinho e Montuori e Gratton e Sarti. In conclusione un quartiere povero ma sempre umanamente ricco, che alla fine, in un brutto giorno, subì quella alluvione nel 1966. Che ci mise sottacqua tutti, 5 metri e mezzo, al mio primo piano un metro e mezzo, uno sfacelo, I giorni terribili che abbiamo vissuto allora, con il fiume nella strada, mentre passavano i seggiolini del cinema Alhambra e del Cristallo, e dove ad un certo punto vedemmo venire a nuoto i fratelli Raspini, con il loro fisico atletico, che tentavano di raggiungere il loro elegante negozio in Via Pietrapiana. Oggi quando mi accade di passare in quella zona, trovo un salotto buono e tanta ricchezza in più per quelle strade: non ci sono più né il cinema Garibaldi né il cinema Alfieri, e prima che facessero il palazzo delle poste, lo spiazzale dove si esibiva il Circo Gratta con tutta la sua famiglia. C’è un grande mercato importante, le Murate e Santa Verdiana hanno perso la presenza dei carcerati, non c’è più un cinema a pagarlo oro, salvo il ripieghino di un Astra quasi invisibile in piazza Beccaria, sovrastato dai tentacoli di una banca. Fabio Picchi ha riammodernato e rivitalizzato il quartiere con la sua iniziativa geniale e brillante. Se n’è andato troppo presto perché in fondo lui, con la sua genialità aggiornata, incarnava ancora pur sempre quello spiritaccio popolare fiorentino che aveva animato il Sant’Ambrogio nei tempi del dopoguerra. Me se poi guardo bene, sotto il sontuoso vestito attuale, vedo ancora le semplici vesti dell’allegro quartiere povero di allora, e alla fine sento ancora le grida di Polvere che con il suo carretto sgangherato, alla ricerca di roba, grida ancora alla donne affacciate alle finestre “c’è iccinciao donne....”. Così mugugna oggi un vecchio che sotto sotto si augura che il futuro ritorni un po’ al passato”.