
Sergio Cammariere
Firenze, 21 maggio 2017 - «Ogni concerto a Firenze per me è importantissimo. Negli anni ‘70 partii da Crotone per fare l’università - prima Scienze agrarie, poi Giurisprudenza - nella vostra città. Non mi sono laureato, ma ho iniziato a fare il mestiere di musicista con concretezza e soddisfazione per tanti anni». E’ un Sergio Cammariere entusiasta quello che vedremo in concerto domani, 22 maggio alle 21 al Teatro Puccini di Firenze.
Il pianista - cantautore sarà alla ribalta con la sua famiglia musicale (Amedeo Ariano alla batteria, Luca Bulgarelli al contrabbasso, Daniele Tittarelli al sax e Bruno Marcozzi alle percussioni) per presentare dal vivo, fra atmosfere jazz, pop ricco di ritmo, contaminazioni afro-latine e momenti più intimi i brani del nuovo album «Io» e le canzoni più amate del suoi repertorio. «Ci metto l’anima – spiega Cammariere -. In due ore di concerto racconto la mia vita, dai Sanremo al Premio Tenco, dove quest’anno torno dopo 20 anni, ma al primo posto c’è Firenze, dove ho iniziato e ho tanti amici, come Francesco Nuti e i Giancattivi che venivano sempre a trovarmi al Bogart di Via S. Antonino, un bar che avevo in gestione con Mario Lecci, un caro amico pianista di Pontassieve che studiava con me al conservatorio».
Sergio, cosa altro ricorda della gavetta fiorentina?
«Ne potrei parlare per ore. Fu un momento mitico. Avevo 18 anni e per mantenermi suonavo nei club e nei piano bar sotto il Cupolone. Quasi tutte le sere allo Yellow Bar di via del Proconsolo, per 15.000 lire e una pizza o una paglia e fieno. Al Caffè Paszkowski nel 1979 all’ora del the suonavo con Alfredo Labardi al violino e di sera al Tabetà (del pianista Giancarlo Chiari, che ai tempi veniva considerato un maestro), all’Arcadia, al Full Up, al Jackie O’, al Circolo Borghese della Stampa o in altri locali».
Insomma, considerava Firenze il centro del mondo?
«Per me lo è stata davvero. Passavo pomeriggi interi alla Galleria degli Uffizi e sulle scalinate di Palazzo Vecchio ho fatto più di una schitarrata. Avevo l’abbonamento alla Pergola e ho visto da vicino grandi maestri del teatro come Albertazzi, Tino Buazzelli, Enrico Maria Salerno, Gassman. All’epoca ho conosciuto anche tanti pittori, scultori, restauratori. Tutto e tutti passavano da Firenze».
Anche il jazz?
«In effetti l’ho conosciuto a Firenze. Riuscii a trovare sotto i portici in Piazza della Repubblica, cassette e album di vinile a buon prezzo. Ne compravo in continuazione. Ho arricchito il mio repertorio, ho cominciato a conoscere Bill Evans, Coltrane, Miles Davis e Steve Wonder , che da ragazzo non ascoltavo, perché preferivo la classica».
Nessun rapporto con la Firenze del rock?
No. Ero un po’ individualista, campavo alla giornata e l’unico modo per farlo era suonare tutti i generi musicali, dalla bossanova allo swing, ai cantautori. Cera poco rock (ma selezionato) nel mio modo di vivere il piano bar».
Che ha perfezionato a Roma grazie anche ad Arbore …
«Per Aspettando Sanremo, con Mirabella, Banfi e Arbore, ero il pianista dei Campagnoli Belli. Lì cominciò un’altra storia, fatta di varietà televisivi, trasmissioni con Arbore».
Continua a collaborare con il cinema e il teatro?
«Con grande passione. Presto uscirà «Prima che il Gallo canti», un docu-film di Cosimo Damato, su Don Gallo che contiene una mia intervista. Ho fatto tante colonne sonore, l’ultima per «Mal d’amore» di Angelo Ronconi. Con Dacia Maraini ho scritto 10 canzoni che Mariangela D’Abbraccio porta in scena con in «Teresa la ladra». Mi piace fare il mio lavoro a tutto tondo, non mi fermo mai».