
GERMOGLI PH 20-06-04 FIORENTINA - PERUGIA
Così simili nel bene e nel male, così cariche di spirito identitario da sembrare quasi parenti a distanza. Sì, con un po’ di fantasia potremmo anche definire il Betis il cugino spagnolo della Fiorentina. Non lo suggerisce la suggestione ma la storia. Intanto il nome, concentrato di simbologie: Real Betis Balompiè. Betis, come il nome in latino del fiume Guadalquivir che attraversa l’Andalusia; e Balompiè perchè gli studenti della Escuela Politecnica che nel 1907 fondarono la società, per beffa al Siviglia che si era definito "football club" vollero fare lo stesso ma alla spagnola. Un po’ come si in Italia una società decidesse di chiamarsi "Pallapiede club". Poi la storia sportiva, come quella viola fatta di su è giù clamorosi. Un solo titolo nazionale nel 1935, tre coppe del Re portate a casa con sofferenze estreme, come quando nel 1977 servirono 21 calci di rigore per superare l’Athletic Bilbao. Nel mezzo un saliscendi con tanta B e un po’ di C. E qui le cose per noi sono un po’ migliori.
Ma per capire il Betis e l’animo dei beticos è necessario andare proprio ai 7 anni nei quali la squadra giocò in C. Allora, e siamo nel 1950, un disegnatore, Martinez de Leon, coniò la frase "Viva el Betis manquepierda!" ("Viva il Betis anche se perde"), la fece pronunciare a un personaggio dei suoi fumetti e da allora per tutti in Spagna la compagine biancoverde diventò "l’equipo del pueblo", la squadra del popolo, distante dall’idea di vittoria ma capace di suscitare passioni prepotenti al punto che nel 2014, dopo una sciagurata retrocessione in B, gli abbonamenti raggiunsero la cifra record di 33.000. Vi ricorda qualcosa?
E’ questo spirito di appartenenza che qualche anno prima aveva fatto registrare un altro evento non banale. Nel 1992 la società aveva un debito di 1200 milioni di pesetas da coprire per iscriversi al campionato di B e attraverso piccole donazioni la tifoseria raccolse 400 milioni che contribuirono a evitare il crac. Vedi alla voce amore. Amore tormentato, come lo sono quelli veri, e dunque fatto di illusioni di dolori. Le illusioni, come quando la società nel 1998 sborsò 63 miliardi di lire per assicurarsi il brasiliano Denilson che alla prova dei fatti si rivelò un pacco (vedi alla voce Socrates). I dolori, come quando nel 1960 il talento da pallone d’oro del sivigliano Luis Del Sol fu barattato per 7 milioni di pesetas madridiste e la città insorse (qui i nomi per il paragone fateli pure in serie). Sì, Fiorentina e Betis sono due squadre che si somigliano. Orgogliose, identitarie, sognatrici e bersagliate dal fato anche nei lutti che ne segnano l’anima: nel 1963 l’allenatore betico Andreas Aranda morì durante il prepartita col Saragozza. Due cugine a distanza, insomma. Con la speranza che stavolta alla fine di questo struggente doppio confronto di coppa, a coltivare la malinconia sportiva siano loro....
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