La felicità, perdio, la felicità. Quella che dicono insinuarsi in porte che non sapevi di aver lasciato aperte e che spesso fa da cosmetico per la bellezza. Ecco, se nel football esistesse un partito della felicità, lui ne sarebbe probabilmente il segretario. Perché tutto nel calcio di Domilson Cordeiro dos Santos, che per comodità chiamiamo Dodo, rimanda all’allegria. Si, Dodo, terzino-locomotiva destinato con il suo stantuffare a travolgere tutto quanto si trovi sul suo percorso lungo la fascia di destra, è nei fatti un dispensatore sano di contentezza. Uno che quando si affaccia nel catino del Franchi sembra sempre aver chiara l’idea che il calcio è un gioco e che dunque senza festosità diventa un controsenso.
L’altra faccia del musonismo dei Chiesa o dei Bernardeschi, che ad ogni scatto o ad ogni dribbling sembravano avere dentro una sofferenza espiativa più adatta alla contrizione religiosa che non al football. Lui no. Lui scatta e sorride, prova il dribbling e sorride, prende un ammonizione e sorride, non con l’inconsapevolezza dello stolto ma con quella predisposizione naturale alla beatitudine dei brasiliani, che sembrano conservare il gusto fanciullo del prendere a calci una palla anche quando sono uomini maturi e campioni affermati. Sì, Dodo, come il personaggio tv dell’Albero Azzurro che ha il suo stesso nome, è un giocatore che non sembra mai scalfito dall’affanno adulto ma contagiato da un’eterna leggerezza bambina che porta sempre con sé, facendola diventare il suo punto di forza. Forse anche per queste sue caratteristiche, agli occhi di mister Palladino Dodo è diventato un insostituibile, sempre titolare nelle 12 gare di campionato fin qui giocate, con il minutaggio più alto di ogni altro giocatore viola: 1132 minuti in campo senza mai tirare il fiato. Un percorso netto che gli ha fatto guadagnare la sua prima convocazione nella nazionale brasiliana con la quale stanotte ha affrontato l’Uruguay. Per questo, con Biraghi confinato in panchina, qualcuno lo vedrebbe bene anche nel ruolo di capitano: se Ranieri rappresenta l’anima identitaria e orgogliosa della rosa viola, lui potrebbe essere un manifesto di solarità da esporre lungo i 90 minuti della gara ad arbitri e avversari. Chissà.
Di certo, nella Fiorentina d’alta classifica di questi tempi, se Adli è il derviscio danzante che sprigiona musicalità, Kean il centravanti armato che mette in crisi ogni difesa e Bove il cane da guardia azzannante le caviglie di tutti, lui rappresenta allo stesso tempo l’idea di moto perpetuo e quella vocazione alla spensieratezza che rende la squadra più raggiante ed empatica. Qualcosa di cui andare orgogliosi. Che in un mondo del Calcio che sembra aver smarrito l’idea della gioia svilito dalle ragioni del business, avere una vocazione alla spensieratezza è comunque un piacere da dispensare senza riserve, visto che la felicità è una fra le poche cose al mondo che si moltiplica condividendola.
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