Lo pensavamo di cemento armato e adesso che in più occasioni si è dimostrato friabile come cartongesso, siamo tutti a chiederci cosa gli sia successo. La caduta del muro Milenkovic potrebbe infatti essere il titolo di un film ipotetico che sta andando sugli schermi da inizio campionato e che, analogamente alle pellicole delle sorelle Wachowski o di David Linch, la maggior parte del pubblico viola in sala stenta a comprendere. Perché Nikola Milenkovic da Belgrado, stopperone di 195 centimetri di ampiezza per 95 chili di stazza, è il mistero oscuro di questo momento viola. A Firenze il nostro arrivò nell’estate del 2017 grazie a un assegno di 5 milioni versato al Partizan. Siccome il calcio è fatto anche di suggestioni, a lui appiccicarono l’etichetta suggestivissima di "nuovo Vidic". Il campo rivelò poi che il paragone non era così azzardato, visto che con una serie di prestazioni di forza Milenkovic a 20 anni si conquistò con Pioli i gradi da titolare, mai ceduti nemmeno con gli allenatori a seguire.
Nikola il muro serbo, la parete portante sul quale appoggiare la fase difensiva viola. Almeno fino a qualche mese fa, quando questa immagine si è scolorita dopo una serie di scivoloni. Ora: di lui non si può dire che difetti di carattere. Uno che a 18 anni ha vissuto da protagonista l’arena del derby di Belgrado fra Partizan e Stella Rossa, più una sfida di vita che non una partita di calcio, non può certo farsi intimorire da qualche mugugno del Franchi. Eppure da tempo lui sembra la controfigura pallida di quel combattente da Colosseo, come se dentro si fosse svuotato della fiducia in sé stesso. Sono tanti i segnali che indicano ciò. Il fatto, ad esempio, di balbettare nei duelli con l’attaccante avversario, lasciando che alla fine a trionfare siano quasi sempre questi ultimi, da Krstovic a Odgaard fino a Leao. Poi, qualche topica difensiva goffa, come il rigore con la Lazio e la scivolata col Milan a favorire la rete di Loftus-Cheek, e anche il fatto di non riuscire più ad andare in gol come accadeva nei primi campionati in viola. Indizi chiari di una difficoltà.
Eppure, lo stesso, sarebbe controproducente cedere allo sconforto e non aspettarlo. Intanto perché in un calcio senza riconoscenza qual è quello di oggi, lui è lì ad indicarci un’altra via, visto che quando due estati fa poteva andarsene a parametro zero come un Montolivo o un Neto, ha scelto invece di non depauperare le casse viola firmando per il prolungamento. E poi perché nel parco difensori centrali a disposizione di Italiano, lui è ancora quello con più talento e più stazza. L’unico in grado di torreggiare quando la palla si alza e poter così sfidare alla pari nel cielo dell’area di rigore attaccanti avversari di imponenza e forza. Per questo, aspettare Milenkovic più che un’opportunità è una necessità. Una condizione imprescindibile se si vuol sperare in un finale di stagione con più luminosità di quanta se ne intraveda oggi. Anche perché arrendersi al buio non ha mai portato lontano nessuno, né nella vita, né nello sport, figurarsi nel calcio.
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