Entrambi fanno parte di quella nidiata di giovani allenatori che in giro per l’Europa hanno appiccicata addosso l’etichetta di ‘predestinato’. Non sono molti, chi ce li ha se li coccola. Raffaele Palladino e Cesc Fabregas fanno parte del gruppo. Idee diverse, percorsi talvolta simili. Sulle orme di De Zerbi hanno provato a muoversi in tanti. Qualcuno ci è riuscito, altri meno e sono ancora a caccia dell’occasione giusta. La sfida tra Como e Fiorentina è anche questo. Un duello tattico tra i due allenatori più giovani di tutto il campionato. Quarantanni per Raffaele, trentasette per Cesc. Il primo è arrivato in Serie A dopo un percorso lineare. Carriera da onesto esterno offensivo, il picco nella Juventus senza troppa fortuna. Ha saputo rendere al meglio alle dipendenze di Gasperini. Nel settore giovanile del Monza una rapida ascesa fino alla Primavera, poi il salto in prima squadra e il percorso è diventato noto a tutti. Da poche ore è stato premiato anche come miglior giovane tecnico della scorsa stagione al Gran Galà del Calcio.
Altra cosa la carriera di Fabregas. Stella di rara lucentezza in mezzo al campo. Arsenal, Barcellona, Chelsea, oltre cento presenze in una Spagna stellare. Attività agonistica finita in Serie B al Como. Una di quelle situazioni impronosticabili che fanno parte di un percorso di vita, non solo sportivo. Nasce così l’allenatore spagnolo. Al ‘Sinigaglia’ lo stimano tutti anche se di recente qualche risultato è mancato. La sensazione è quella di essere comunque davanti a uno che ha idee di qualità.
Sul fronte tattico la partita si giocherà su piani diversi. Fabregas si muove con passo felpato su quel tiki-taka di barcelloniana memoria. Certo, con i paragoni tocca andarci pianissimo vista una certa differenza di qualità. Ma l’idea è quella. Possesso palla prolungato, voglia di ricercare gli spazi anche mutando sistema di gioco a gara in corso. Logica conseguenza una difesa spesso piuttosto alta. Tutto il contrario di Palladino, che il gioco vuole di certo controllarlo anche lui, ma l’input ai suoi è quello di andare a ricercare la profondità non appena possibile. Blocco basso di difesa, centrocampo di qualità ma pronto alla battaglia.
E un’idea di far male dalla trequarti in avanti che spesso fa la differenza anche centralmente, non solo andando a ricercare le corsie laterali. Filosofie diverse a confronto al ‘Sinigaglia’. E la certezza di trovarsi davanti a due di quel gruppo lì, fatto di predestinati.
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