Firenze, 11 novembre 2015 - A pochi secondi a mezzogiorno (ora italiana) il velista fiorentino Giancarlo Pedote e il suo compagno Erwan Le Roux hanno tagliato la linea d'arrivo della mitica Transat Jacques Vabre, regata transatlantica di grande fascino e difficoltà. La coppia ha impiegato 16 giorni, 22 ore, 29 minuti e 13 secondi a percorrere i quasi 10mila chilometri della regata, da Le Havre (Francia) a Itajaì (Brasile).
A pochi giorni dall'arrivo avevamo contattato Pedote in mezzo all'Atlantico. Ecco la nostra intervista.
Pensi a un filosofo-velista e ti immagini lunghe riflessioni davanti a un tramonto, invece lo skipper in questione – il fiorentino Giancarlo Pedote, 40 anni da compiere il giorno di Santo Stefano – ha passato due settimane a combattere contro il tempo per tagliare per primo il traguardo di una delle regate più affascinanti e difficili, la Transat Jacque Vabre. La sua è la storia dell'amore incondizionato per il mare. Una vocazione condivisa con lo studio della filosofia, fino alla laurea all'Università di Firenze. Sì, perché la Toscana è la sua terra e la porta nel cuore; velisticamente è cresciuto nel golfo di Follonica, è stato perfino formatore professionale quando la Regione organizzava i corsi per skipper, a Punta Ala è di casa. Poi il sogno: lavorare duramente per mettere da parte il necessario e avere una barca tutta sua. Per farlo, però, bisognava salutare il campanile di Giotto e la cupola del Brunelleschi e andare a Lorient, in Bretagna, culla dei velisti oceanici, dove vive e lavora il meglio del meglio di questa disciplina. Da sei anni Pedote vive in Francia e proprio dalle coste del Nord è partita questa regata massacrante, che il velista ha affrontato sul trimarano FenetreA-Prysmian insieme al compagno di bordo Erwan Le Roux.
Pedote, chissà che emozioni per un filosofo affrontare un viaggio così ricco di significati.
“Alla prima traversata, soprattutto se fatta con un intero equipaggio, si pensa anche alle riflessioni che ti inducono un tramonto, un'alba, un cielo stellato... Ma in queste regate questi aspetti emozionali vengono un po' meno per mancanza di tempo, sei completamente immerso in una bolla di pura competizione e sport, cerchi di essere efficace al timone e concentrato. Sei molto preso da altri fattori e la riflessione che ti potrebbe cogliere in altri momenti in barca viene annichilita”.
Come si vive a bordo di un trimarano in mezzo all'oceano?
“Questa è una macchina che viaggia a oltre 20 nodi, con dei rumori pazzeschi, tutto ciò che è mangiare e dormire è molto complesso. Ci sono dei momenti in cui dovresti dormire ma il rumore assordante ti impedisce di chiudere gli occhi. A volte la barca salta e tu salti con lei”.
Con il suo compagno, Le Roux, siete riusciti a godervi anche la traversata o avete pensato solo alla sfida?
“Abbiamo pochissimo tempo per noi, quando ci cambiamo ci diamo le informazioni sul vento e su come vediamo le cose. Ogni tanto ci scappa qualche battuta, ma questo è un evento incalzante e impegnativo, che non lascia spazio a grandi conversazioni al di là del presente imminente”.
Alla partenza avete avuto qualche problema fisico...
“Sì... Abbiamo avuto un po' di mal di mare! Ma non è che fossimo in balìa delle onde, eravamo solo infastiditi come credo tutti gli altri componenti della flotta”.
Ha già attraversato l'Atlantico da solo e con un equipaggio, questa è la prima volta che lo fa in coppia. Cosa significa dividere questa esperienza in due?
"In doppio è tutto molto più rilassante, il sonno è più regolare e riesci ad alimentarti meglio. Ci sono dei momenti difficili, ma è tutto più gestibile”. Avete passato una tempesta terribile che ha eliminato dalla corsa molti scafi, come è stato attraversarla? “Un incontro di boxe, solo che una ripresa dura tre minuti, qui ci sono volute 48 ore. E ne abbiamo prese tante”.