
Accuse social a un medico pediatra "Non ha mai detto di curare l’autismo"
Precisazione da parte dell’avvocato Andrea Callaioli, in qualità di rappresentante di Eugenio Serravalle, sulla notizia uscita sulla Nazione riguardo alle "Offese sui canali social, medico vince la causa, condannata una mamma". "L’articolo – scrive il legale – fa riferimento alla vicenda giudiziaria che ha interessato il mio assistito in qualità di persona offesa, costituitosi parte civile nel processo di fronte al Tribunale penale di Grosseto per un caso di diffamazione tramite Facebook realizzata da una signora, processo conclusosi con sentenza di condanna nei confronti della stessa. L’informazione in merito al processo, al suo contenuto e al suo svolgersi non risponde a criteri di verità. In primo luogo, si vuole censurare il fuorviante sottotitolo che non offre, così come dovrebbe, un riassunto neutro, dal momento che il mio assistito non ha mai proposto di ‘curare’ la sindrome autistica, né con l’omeopatia, né con altre terapie". Secondo il legale con "il sottotitolo utilizzato viene influenzato il lettore, inducendolo a giudizi e considerazioni che nulla hanno realmente a che vedere né con la persona del dottor Serravalle, né con la vicenda giudiziaria, anche perché nel post pubblicato su Facebook, oggetto dell’accusa, l’imputata non faceva riferimento a cure omeopatiche, ma si limitava a dare del ‘cialtrone’ al medico, con cui non aveva mai avuto rapporti in precedenza. L’intervento giornalistico, così come formulato, a partire dal sottotitolo, è pertanto idoneo a ledere ulteriormente l’onore ed il prestigio del mio assistito, medico di fama nazionale, che si è già visto costretto a difendersi nelle opportune sedi giudiziarie da asserzioni diffamatorie veicolate mediante l’uso di internet". "Nel corpo dell’articolo, inoltre, sono contenute imprecisioni e cose assolutamente non corrispondenti a verità – aggiunge il legale – infatti il dottor Serravalle non ha mai proposto a nessuno, né tantomeno all’imputata, di ‘curare’ il figlio per farlo ‘guarire’ dall’autismo attraverso pratiche ‘alternative’. Ed è opportuno evidenziare che il figlio dell’imputata non è mai stato visitato dal dottor Serravalle e che l’imputata non ha mai avuto alcun colloquio o contatto, come lei stessa ha dichiarato in udienza. Il fatto che l’imputata si fosse trovata a far parte di un gruppo Facebook – chiude l’avvocato Callaioli – dove si sostenevano tesi singolari o si proponevano terapie di dubbia validità scientifica non può certo essere attribuito al dottor Serravalle e non autorizzava l’imputata ad offenderlo pubblicamente".