REDAZIONE GROSSETO

Crisi Venator, ieri il picchetto: "Difendiamo la nostra occupazione. Siamo a casa da troppo tempo"

Davanti all’ingresso dell’azienda di Scarlino, la manifestazione dei dipendenti contro questa incertezza. Il racconto di Stefania, impiegata storica: "Siamo delusi, stanchi. E le entrate sono sempre più scarse".

Lo striscione srotolato ieri mattina davanti all’ingresso dell’azienda di Scarlino (. Foto Paolo Agostini)

Lo striscione srotolato ieri mattina davanti all’ingresso dell’azienda di Scarlino (. Foto Paolo Agostini)

SCARLINO

"Ricordo ancora il primo giorno di lavoro. Osservavo con stupore tutte quelle persone che varcavano la portineria per raggiungere il proprio posto di lavoro. Tanti di noi oggi sono costretti a rimanere a casa, in cassa integrazione straordinaria. La maggior parte a zero ore". A parlare è Stefania Toninelli, da 41 anni alle dipendenze dell’azienda che oggi si chiama Venator, ma che è nata come Sibit (società italiana di biossido di titanio). Stefania anche ieri mattina era fuori dall’ingresso Venator per non mancare al primo picchetto organizzato dai dipendenti, nell’ambito della mobilitazione dichiarata dai sindacati per la assoluta mancanza di chiarezza sulle intenzione della proprietà dell’azienda scarlinese. Con un grande striscione ’Salviamo la Venator’, gli operai hanno manifestato tutta la propria rabbia nei confronti dell’incertezza in cui sono stati gettati. Se c’è una parola che non fa rima con il termine ’lavoro’ ma che ne è suo riflesso, quella è ’dignità. E i lavoratori della Venator, industria chimica nella piana di Scarlino, stanno affrontando il prezzo di una crisi industriale nessun ammortizzatore sociale possibile riesce ad attutire fino in fondo. Non c’è paracadute per i lavoratori dell’indotto che si sono trovati senza lavoro, non c’è soddisfazione per gli impiegati Venator (oltre 200) a rimanere a braccia incrociate da mesi, senza sapere se e quanto la fabbrica ripartirà. E tra di loro c’è appunto Stefania. "Sono la più anziana, lavorativamente parlando, in servizio. Sono entrata nel 1983 ed avevo 19 anni. Ero una ragazzina inesperta e un po’ intimorita da quella grande fabbrica. Il mio primo impiego fu nel nostro laboratorio analisi, ero l’unica donna insieme a circa 50 uomini". E poi si cala nel presente. "Credo sia fondamentale ricordare a tutti ma anche e a noi stessi chi siamo e da dove veniamo – rimarca – Ricordare che nonostante i progressi della tecnologia e della cultura, siamo ancora gli eredi ideali del mondo della miniera. E lo dobbiamo essere con orgoglio". Poi si ricala nell’amaro presente. "Purtroppo, nonostante il riconoscimento all’azienda per gli investimenti importanti che ha fatto nel tempo sulle tutele ambientali e sulla sicurezza per i lavoratori, negli ultimi anni Venator Corporate si è progressivamente allontanata dal territorio – ricorda - Di fatto non considerandoci più come suoi dipendenti. È stato un percorso lento ma oggi visibile. La controllata Venator Italy è stata abbandonata a sé stessa dalla capogruppo. Grazie all’arrivo del nuovo ad e del gruppo dirigente locale – scandisce Stefania - le cose sono indubbiamente migliorate sia dal punto di vista delle relazioni con i lavoratori che da quello con le istituzioni. La nostra fabbrica – ribadisce Stefania – ha sempre generato utili, ma adesso siamo delusi, stanchi perché non lavoriamo da troppo tempo e dobbiamo fare i conti, quotidianamente, con la drastica diminuzione delle entrate in famiglia".