Il Tribunale di Grosseto in composizione collegiale (il relatore era la dottoressa Paola Caporali) ha respinto il reclamo presentato da Enegan contro l’ordinanza cautelare del giudice del lavoro, Giuseppe Grosso, con la quale era stato dichiarato il diritto di un dipendente "fragile", assistito dall’avvocato Alessandro Antichi, a lavorare da casa in modalità agile per la durata del periodo di emergenza. L’uomo, assunto dall’azienda nel 2015, con qualifica di impiegato al servizio di assistenza legale e contenzioso, è stato riconosciuto invalido civile con una riduzione della capacità lavorativa del 60% a causa di una patologia di natura polmonare. Quando è iniziata la pandemia ha chiesto di poter lavorare in smart working, modalità adottata dall’azienda anche per altri suoi colleghi del medesimo reparto di lavoro. Ma l’Enegan ha sempre opposto un netto rifiuto, collocandolo in ferie dal 23 marzo al 3 aprile. Nonostante il medico certificasse patologie croniche e l’impossibilità di esporlo a rischi aggiuntivi. Ma l’azienda, negando anche le altre richieste, lo inseriva ancora una volta in ferie fino al 30 di aprile, adducendo che l’azienda si era già attivata con altri lavoratori per lo smart working. In primo grado il tribunale ha ordinato a Enegan di consentire al ricorrente lo svolgimento delle mansioni contrattuali. Enegan però contestava il fatto che non poteva esserci un’imposizione per il lavoro agile. Ma "nessuna delle argomentazioni di Enegan – scrivono ora i giudici – appare espressione di un legittimo potere discrezionale del datore di lavoro. Nonostante fosse in malattia, il lavoratore aveva chiesto lo smart working, comunicando la sua idoneità anche dal punto di vista informatico della propria postazione nell’abitazione" e inoltre doveva essere "preferito ad altri perchè effettivamente malato". Questi i motivi che sono alla base del "rigetto del reclamo – chiudono i giudici – confermando in ogni sua parte il provvedimento impugnato".
CronacaDipendente malato "Fate smart working"