Grosseto, 17 ottobre 2018 - La sua attività era quella di reclutare donne pronte per partire per il Medio Oriente, per infoltire le schiere dell'Isis. Per questo è stata espulsa dall'Italia. Si tratta di Arta Kacabuni, alias Anila, una 44enne cittadina albanese in Italia dal 2003 e residente in provincia di Grosseto. Il suo compito era quello di convincere altre donne ad abbracciare l'Isis e poi raggiungere la Siria per combattere contro gli infedeli.
Per questi motivi prima è stata arrestata, poi condannata in primo grado e, oggi, espulsa. La donna, dice il Viminale, fu condannata dal tribunale di Milano per partecipazione ad associazione con finalita' di terrorismo. Il provvedimento di espulsione e' stato firmato per motivi di sicurezza dello Stato: gli investigatori ritengono infatti la donna una figura rilevante sia per i contatti che aveva sia per il lavoro svolto sul piano della radicalizzazione e dell'instradamento verso la Siria di diversi soggetti.
La donna si occupava assieme al fratello, che è stato arrestato ed espulso a maggio appena uscito dal carcere, di reclutare adepti alla causa dell'Isis. Un ruolo che era saltato fuori nell'ambito dell'indagine delle digos di Milano e Grosseto che a luglio del 2015 portò all'esecuzione di 10 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti estremisti islamici ritenuti appartenenti allo stato islamico.
«Hanno fatto bene come no ... che Allah li ricompensi». Così Arta Kacabuni commentava, intercettata più di tre anni fa, con Marianna Sergio, sorella della prima foreign fighter italiana Maria Giulia 'Fatima' Sergio, la strage del 7 gennaio 2015 ad opera dell'Isis nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, a Parigi.
Lo scorso aprile, la Cassazione ha confermato la condanna per terrorismo internazionale a 3 anni e 8 mesi per 'Anila', zia del marito di 'Fatima' (la coppia partì per la Siria nell'autunno 2014), nel processo con rito abbreviato a carico di Marianna Sergio, condannata a 5 anni e 4 mesi, e altre due persone.
Stando alle indagini milanesi, Kacabuni, assieme a Baki Coku, anche lui condannato e già espulso, avrebbe organizzato il «matrimonio 'combinatò» di Fatima con Aldo Kobuzi e anche la loro partenza «verso il territorio dello stato islamico», come si legge negli atti dell'inchiesta coordinata dall'allora aggiunto milanese Maurizio Romanelli, ora alla Dna.
Anila, scrivevano i magistrati, «ha un'impostazione ideologica assolutamente radicale, di completa adesione ai 'principi' dello Stato islamico». E così al telefono manifestava la sua «piena felicità e soddisfazione per gli attentati compiuti» e criticava i «musulmani moderati» per la loro «ipocrisia». Nell'agosto 2017, tra l'altro, mentre era ai domiciliari a Grosseto avrebbe avuto incontri in casa con persone sospette ed era, dunque, finita in carcere. Ed era stata anche indagata per presunte minacce nei confronti di un ex consigliere comunale di Scansano (Grosseto).