
I segreti del calzolaio. Cuoio, colle e fantasia: "Era un bel mestiere. Adesso è tutto diverso"
Timbrato Bonfante. Cosa c’è di meglio, se non poter indossare un pezzo unico, fatto a mano e tornare a casa e profumare di cuoio appena tagliato? La semplicità nelle piccole accortezze. Un tocco originale e unico. Un lavoro di manodopera e occhio tra stringhe, suole, fibbie. Chi può essere, se non il calzolaio? Un mestiere antico, ma essenziale, dove le attrici protagoniste sono le scarpe. Ma non solo, perché quei fogli di pelle e cuoio possono trasformarsi in borse e cinture. Il calzolaio rientra in quei mestieri che stanno per essere dimenticati. Resistono ancora? In via Bengasi c’è una piccola realtà, che resiste nonostante le difficoltà presentate negli anni. Portata avanti dall’amore e passione di chi ha nelle mani e negli occhi l’arte di un lavoro di tradizione, creatività e fascino. Il cuore di quelle quattro mura è il suo artigiano, che tutti i giorni gira la chiave della serratura per vestire i panni del ‘medico’ delle scarpe. Si chiama Nilo Bonfante ed è un vero maestro calzolaio. Semplice ma determinato, sempre pronto a regalare un sorriso a chiunque entri nel suo negozio. Sì, perché è bastato passare un’oretta con lui per constatare quante persone hanno fatto ingresso nella bottega. Quel Nilo che conosce non solo l’arte della tradizione ma anche di sapersi reinventare. Tra stringhe e motori, tra suole e scuole. Ecco la storia.
Quando è nata la bottega? Questo mestiere le è stato tramandato?
"La bottega in via Bengasi risale al 1980. È stata avviata da mio babbo che mi ha tramandato la passione ed il mestiere anche se da piccolo volevo fare il meccanico. Però, dopo le scuole medie, a quattordici anni ho cominciato a fare praticantato".
Il lavoro è cambiato?
"Sì, completamente. L’era del cuoio è praticamente finita. Si riversa tutto, a cascata, nel tessuto sintetico. Prima la riparazione era più semplice. Se prima c’era la richiesta di un buon paio di scarpe in cuoio per chi esercitava una professione di un certo rilievo, adesso tutti o quasi calzano scarpe da ginnastica. In una settimana posso sistemare anche sessanta scarpe. Perciò si parla di risuolature, sostituzione di sopra tacchi, cambio degli elastici dei sandali ad esempio. Il mercato di scarpe fatte a mano è quasi scomparso. Non le faccio più. Quindi aumento le piccole riparazioni per compensare. Inoltre riparo le borse e fabbrico le cinture, in cuoio ovviamente".
Ci sono stati momenti difficili?
"Il covid è stato un grosso schiaffo. Il negozio è stato chiuso. E dopo il mercato era fermo. Se in casa metti le ciabatte, ad aggiustare non porti nulla".
Come ha fatto nei mesi di chiusura?
"Sono diventato autista di scuolabus delle scuole elementari e materna di Rispescia e Alberese. È una grande responsabilità, ma sono diventato come il loro secondo babbo".
Qual è la sua giornata tipo?
"Dalle 6.30 alle 8.30 faccio l’autista. Poi vado in bottega e dalle 12.30 alle 14.30 rivesto i panni di autista per portare i bambini a casa. Dopo torno ad essere il calzolaio fino a tarda sera".
Ha influito la chiusura dell’ippodromo e la diminuzione dei butteri?
"Una buona fetta di clienti erano proprio fantini, artieri di scuderia e butteri. Ho fatto ad alcuni di loro due paia di stivali all’anno".
Qual è il futuro del calzolaio?
"I calzolai non esisteranno più. La mia bottega cercherò di tenerla aperta più possibile. Ho volontà di tramandare, ma è impossibile pensare di affiancarmi qualcuno, ti legano le mani".
Una storia di resilienza, di chi sa reinventarsi, di chi ama il proprio lavoro tanto da non lasciarlo. ‘Il calzolaio’ di via Bengasi resiste, con un sorriso genuino in un negozio che è sempre un via vai di clienti e buoni amici da salutare.