Quando in Maremma arrivò Dolcenera (così Fabrizio De Andrè definì l’alluvione di Genova del ‘70 nel testo di una delle sue più celebri canzoni) fu senza pietà e terrorizzò una città intera: Grosseto. Era il 4 novembre del 1966 quando l’Ombrone irruppe in città, portando con sé paura e sgomento. Domani saranno cinquantotto anni da quando Grosseto si svegliò così, presto perché erano circa le sei del mattino quando cominciò ad essere dato l’allarme. "Salite tutti ai piani superiori delle vostre abitazioni": annunciava così il megafono del camioncino che passava per le vie grossetane. Le testimonianze di quei concittadini che hanno vissuto l’alluvione del ‘66 fanno capire quanto questo ricordo sia ancora impresso nelle loro menti.
"Fu devastante – racconta Carlo Corradi – portò via tutto, avevo ventun’anni. Ad oggi faccio fatica a vedere le immagini in tv delle alluvioni perché rimani traumatizzato dopo averle vissute. C’erano quattro metri d’acqua e la mattina alle sette arrivò l’allarme. Il Comune diede delle case in coabitazione e insieme alla mia famiglia siamo stati con un’altra famiglia per un anno e mezzo senza servizi igienici, senza acqua calda, infatti andavamo a lavarci in piazza del Popolo. Avevamo perso tutto, casa e lavoro, chiedevamo prestiti alle banche infatti. Sono stati sei anni durissimi. Non lavoravamo, tutti cambiarono le macchine e non avevano bisogno del tappezziere. La mia bottega, che tuttora mi permette di lavorare, fu completamente alluvionata tanto che sul tetto salirono due mucche e si salvarono". "Sono stato fortunato quella mattina – ricorda Fedele Magnani – perché uscii presto per recarmi a lavoro in via Giulio Cesare, anche se era una giornata di festa e fu per quello che non accadde una strage perché a Grosseto non c’era il movimento di sempre. Feci colazione e mi indirizzai per andare a lavoro, ma Ulisse, che abitava in via De’ Barberi, mi allertò dal balcone che l’Ombrone era in golena, così tornai a casa. Il tempo di salire le scale in piazza De Maria e vidi dalla finestra arrivare un fiume di fango alto tre metri. Era spaventoso, l’Ombrone passava impetuoso e dovetti aiutare un vigile del fuoco, intrappolato, ospitandolo in casa".
"Avevo dodici anni – spiega Mario Ferri – e non ce l’aspettavamo. Mio babbo era un dipendente comunale e la mattina presto arrivò l’allerta anche per loro, (ci svegliarono, stavamo ancora dormendo) affinché si mobilitasse insieme ai colleghi per comunicare ai cittadini l’arrivo dell’Ombrone. Ricordo gli animali portati in città dall’alluvione. Passavano i Vigili del fuoco a portarci i viveri con le barche e l’elicottero, poi dopo qualche giorno venne allestito vicino a Palazzo Cosimini un centro di accoglienza dove distribuivano viveri e beni di prima necessità. Mi ricordo ancora i camion che portavano via il fango ed i residui verso l’Ombrone". Quel che rimane è il ricordo del "colore" del fango di un’alluvione che colpì, soprattutto, la povera gente".
Maria Vittoria Gaviano