REDAZIONE GROSSETO

La cultura è in lutto Morto Ettore Bianciardi figlio dello scrittore Luciano

Cordoglio della Fondazione, che si stringe intorno alla sorella Luciana. L’ingegnere è morto a Bologna dove abitava con la moglie: aveva 73 anni.

La cultura è in lutto Morto Ettore Bianciardi figlio dello scrittore Luciano

La Fondazione Bianciardi si stringe intorno alla traduttrice e editrice Luciana Bianciardi, che ha perso il fratello maggiore Ettore. Figlio di Adria Belardi e Luciano Bianciardi, Ettore era nato a Grosseto il 17 ottobre del 1949. L’ingegnere abitava con la moglie a Bologna. Del padre scrittore aveva sicuramente ereditato l’ironia e la grande passione per la letteratura. Ha sempre avuto un rapporto conflittuale con il grande scrittore. In un’intervista di qualche anno fa, quando parlava del padre, disse chiaramente che Luciano non amava il successo.

"Per mio padre – scrisse infatti Ettore – il successo era solo il participio passato di succedere, quindi un qualcosa che passa e non c’è più, però mentiva: voleva avere successo, come tutti quelli che scrivono un libro, sennò perché lo scrivono? Il successo de ‘La vita agra‘ gli dette anche un po’ alla testa". "Abbiamo sempre rispettato — affermano il presidente e la direttrice della Fondazione Bianciardi, Massimiliano Marcucci e Lucia Matergi — la sua lateralità rispetto alla Fondazione. Ettore ha saputo scrivere prefazioni e interventi molto azzeccati su Luciano Bianciardi".

Dopo l’alluvione del 4 novembre del 1966, Ettore Bianciardi, allora diciassettenne, dette il proprio aiuto alla Biblioteca Chelliana, dove era stato direttore il padre. Questo il ricordo di Ettore dell’alluvione del 4 novembre del 1966, un ricordo che fu molto apprezzato.

"La situazione era molto grave, lo sottolineava la faccia più seria del solito del direttore Aladino Vitali, sempre con il suo camice bianco, ora però macchiato di fango; mi fecero entrare nelle stanze interne, inaccessibili fino ad allora a me e agli altri: tirammo fuori i libri dei ripiani bassi, erano blocchi di fango. Dovevamo, con la nostra scarsa perizia, aprire una a una le pagine separandole e poi mettere i libri a cavalcioni su un filo tirato tra le pareti, come panni ad asciugare. Rimasi tanto alla Chelliana, fui richiamato anche in primavera per continuare il lavoro, ora con più calma e un po’ più di esperienza: ormai non ero più un semplice lettore, ma uno della biblioteca, tutti mi guardavano con un certo rispetto, alla fine misero anche il mio nome, con gli altri, sul giornale. Ne conservo ancora il ritaglio, con orgoglio".