RICCARDO BRUNI
Cronaca

La vita dopo l’inferno. La parabola di Adami va al premio Campiello

Il suo romanzo autobiografico "Viva voce" è una delle opere candidate "Mi davano per morto, l’ironia e l’umorismo le cose che mi hanno salvato".

Stefano Adami, professore, studioso e scrittore, con il libro autobiografico

Stefano Adami, professore, studioso e scrittore, con il libro autobiografico

Rinascere da una tragedia, tornare a vivere dopo aver conosciuto l’inferno. Il 23 maggio del 2019 è lo spartiacque per lo scrittore, studioso ed ex professore universitario Stefano Adami, che mentre si trova in casa viene colpito da un ictus. Le sue condizioni sono da subito molto gravi. Lo danno per morto. Lui stesso, dopo essersi ripreso, rifiuta in un primo momento di venire a patti con quanto accaduto e pensa all’eutanasia come possibile via d’uscita. Fortunatamente, le cose cambiano. Grazie agli amici, ai libri di filosofia e a un metodo di riabilitazione innovativo, quello fondato a Pisa dal professor Carlo Perfetti, Adami inizia il suo ritorno alla vita. Un percorso che raccontato in un libro, che si intitola ‘Viva voce’, romanzo autobiografico, uscito per Effigi editore, candidato al Premio Campiello.

Si aspettava questo entusiasmo per la sua storia? "No. All’inizio non mi aspettavo questa accoglienza e non mi aspettavo questa candidatura. Però poi ho visto recensioni molto belle. Anche da parte di accademici. Sicuramente hanno stimolato i lettori che hanno candidato questo libro".

Il titolo ‘Viva voce’ ha un suono potente. "Principalmente è legato al fatto che quando ho avuto l’ictus molte persone sono venute a sapere che ero morto. Si diceva questo, sulle mie condizioni. Adami è morto. Invece, con questo titolo, volevo indicare il contrario. Volevo dire che la mia voce è ancora viva. E il romanzo stesso è scritto come se fosse un racconto a voce alta. Racconta un evento drammatico con leggerezza e ironia".

Come riesce a mantenere questo equilibrio? "L’ironia e l’umorismo sono tra le cose che mi hanno salvato. Da quando mi sono risvegliato in rianimazione, per esempio, avevo visioni strane, buffe. Avevo paura che i medici mi volessero uccidere e quando si avvicinavano imploravo pietà. Alla fine ci mettevamo a ridere insieme".

Ha detto che le presentazioni più emozionanti sono state quelle con i ragazzi. "Sono stato in alcune scuole superiori. All’inizio pensavo che si sarebbe annoiati. Quello che mi ha colpito è stato invece il loro grado di attenzione, molto forte, e le domande, la voglia di partecipazione che ha aperto discussioni durate ore, a volte, con tante curiosità. Mi hanno fatto sentire come uno del loro gruppo e questo mi ha emozionato".

Il libro parla anche di amicizie che si rafforzano e altre che si perdono. "Questa cosa che mi è successa è stata un test anche per l’amicizia. Quelle vere si sono rafforzate. Le altre sono andate perdute. Anche in rianimazione gli amici veri venivano tutti i giorni, a volte con i figli perché non sapevano dove lasciarli. Le amicizie superficiali, invece, sono state smascherate. Quelli che servono solo per andare a cena fuori e ti scrivono ‘poi ci si vede’ ma poi si sganciano e non li senti più. Va bene così".

C’è un messaggio che vorrebbe rimanesse al lettore? "Volevo scrivere un libro di servizio. Per dare testimonianza di cosa può succedere quanto ti trovi di fronte a un’esperienza tragica. Devi stringere i denti e andare avanti. È quello che dobbiamo fare tutti noi, giorno dopo giorno. Restare attaccati al nostro quotidiano, al nostro destino giornaliero".