
L’«angolo della riflessione»: potrebbe essere definito così quello realizzato a scuola
L’Agenda 2030 dell’Onu, associazioni, leggi europee, incontri e tante altre iniziative sostengono la parità di genere, un principio cardine su cui fondare la nostra società di domani. In quella di oggi, però, ancora siamo lontani ben 131 anni da raggiungerla. Secondo il Global Gender Gap Report del 2023, infatti, si prevede che questo divario sarà presumibilmente colmato nel 2154.
Forse, questa disparità è causata da una disinformazione su cosa davvero sia vivere in una società che abbia raggiunto la parità di genere. Quest’ultima viene intesa come l’uguaglianza tra uomini e donne in tutti gli ambiti, da quello salariale all’istruzione, fino alla violenza di genere.
Giulia Cecchettin, Giulia Tramontano, Sara di Pierantonio, Elisabetta Grande e altre centinaia di donne hanno perso la vita, dopo averla passata a sopportare gli abusi degli uomini. Proprio loro sono i primi responsabili della società patriarcale che riduce la donna ad un semplice oggetto e che, quindi, può essere posseduto, usato e gettato via. In Italia, sempre secondo il report sopracitato, i risultati in merito alla parità di genere sono piuttosto sconfortanti; in Europa ci classifichiamo al trentesimo posto, e occupiamo solamente l’ottantasettesima posizione nella graduatoria mondiale. Nel nostro Paese i risultati sono troppo scarsi per poterci definire una nazione da prendere come esempio, a differenza dell’Islanda che ricopre il primo gradino del podio per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere.
In ambito economico, in Italia, le donne guadagnano circa il 15% in meno rispetto a un uomo che ricopre la medesima mansione, abbastanza in linea con i dati europei, che scendono leggermente al 13%. Anche in politica, che dovrebbe regolamentare e riequilibrare questa disparità, a scegliere sono gli uomini; infatti, la presenza delle quote rosa nei partiti nazionali è del 26,4%. Nello sport, in particolare nel calcio, attività per "definizione" maschile, si verificano spesso episodi sessisti.
Molte donne hanno il coraggio di intraprendere una strada, prima destinata al solo uso maschile, come quella della carriera di arbitro. Per esempio, sono molti i casi in cui arbitri donna hanno subìto insulti e offese che i loro colleghi di sesso opposto non avrebbero ricevuto. Negli ultimi decenni sono stati comunque ottenuti dei progressi che hanno portato ad una maggiore sensibilizzazione sull’argomento, ma 131 anni sono ancora troppi per attendere una società in cui le donne non dovranno temere di tornare a casa da sole la sera.