Grosseto, 24 maggio 2024 – L’aveva chiamato Tyler. E non voleva assolutamente che morisse. Lo ha detto più volte Chan Jheansel Pia Salahid, la 28enne nata a Manila che da mercoledì si trova in carcere a Sollicciano a Firenze con l’accusa di aver ucciso quel bambino, suo figlio. Ieri pomeriggio è arrivata in manette nell’aula del Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Grosseto, Sergio Compagnucci che l’ha ascoltata per tre ore. Insieme a lei, con il volto rigato dalle lacrime, anche le sue due colleghe. Una 25enne sudafricana e una 28enne originaria del Kenya. Anche loro con la pesante accusa di omicidio volontario in concorso.
Una storia di disperazione, triste come i volti delle tre donne, che fino a qualche giorno fa lavoravano in quella nave da crociera, la ‘Silver Whisper’ di una compagnia del Principato di Monaco, ma battente bandiera delle Bahamas, che al suo interno nascondeva tutt’altro che feste, musica e vacanze. E’ stata proprio la mamma a far capire che quel bimbo lo stava aspettando. Ma non così presto. "La relazione col padre era finita da qualche tempo, ma la donna aveva già in mente di contattare l’uomo, che è un suo connazionale, per dirgli di prendersene cura perché lei non ne aveva la possibilità - ha detto Giovanni Di Meglio, il legale che la difende –. Il problema è sorto dopo la partenza da Salerno: la donna ha iniziato ad avere i dolori e ha partorito in quella cabina".
Una situazione che credeva di gestire e partorire a Nizza dopo pochi giorni, quando la crociera si sarebbe conclusa: "Ha partorito da sola – ha aggiunto il legale – e ha tenuto nascosto alle due colleghe di cabina che aveva un bambino da accudire. L’ignoranza, la giovane età e quello che la sua cultura le ha insegnato, gli ha fatto nascondere il tutto. Ma lei credeva di essersi comportata nel miglior modo possibile".
Secondo l’avvocato: "questo non è bastato, ma comunque esclude del tutto la possibilità di omicidio volontario, per lei e le sue colleghe". La donna ha raccontato anche come si era organizzata, in quei due giorni, scagionando le altre due. "Faceva due turni di lavoro, a pranzo e a cena. Staccava all’una di notte. Si è presa cura del bambino fin dall’inizio, lo allattava e lo idratava con acqua. Gli aveva allestito anche una piccola culla grazie a qualche vestito. Tirava la tenda della sua branda e quando c’era lei lo puliva e lo lavava. Ha usato degli assorbenti da donna perché altri non ne aveva. Questi mi sembrano comportamenti di una mamma che cerca di fare il meglio e non di una donna che vuole disfarsi del proprio figlio".
Tra l’altro, aggiunge il legale, la donna ha sottolineato che "ha gettato durante la notte la placenta nell’inceneritore della nave. Se avesse voluto disfarsi di quel fagotto, non se sarebbe accorto nessuno durante la navigazione, approfittando anche del buio. Perché non era nella sua volontà".
La morte, dunque, secondo Di Meglio è avvenuta per un "comportamento negligente, certamente non per il dolo". La donna ha raccontato anche al giudice della sua situazione lavorativa. Questa gravidanza "era stata nascosta perché altrimenti sarebbe stata licenziata. Mentre il suo stipendio le permetteva di far vivere dignitosamente la sua famiglia nelle Filippine che è composta da sei persone". Oggi intanto l’indagine prosegue: dopo il conferimento dell’incarico da parte del sostituto procuratore Giovanni De Marco, all’ospedale Misericordia verrà effettuata l’autopsia sul corpo del piccolo Tyler.
Esame fondamentale per dipanare una matassa sempre più intricata. Hanno deciso invece di non rispondere alle domande del giudice, su consiglio dei due legali, Mario e Luca Fabbrucci, le altre due donne, colleghe di lavoro, della 28enne filippina: Mutundu Dorcas Njuguini, originaria del Kenya, e Mphela Kgothadso Mabel Jasmine, sudafricana. Secondo l’accusa avrebbero concorso nel causare la morte del neonato. Tocca ora la Gip decidere sulle richieste di custodia cautelare del Pm.