Fast fashion vuol dire "moda veloce" ovvero la produzione di decine di collezioni annue di capi di scarsa qualità a basso costo. La vendita di questi capi avviene soprattutto online attraverso App che consentono il reso, cosa che aumenta il numero dei trasporti e le conseguenti emissioni di gas serra. I social sono i grandi sponsor di questi prodotti grazie a influencer che ogni giorno mostrano abiti appena acquistati nei loro video. La moda così offre la possibilità di cambiare continuamente look anche con un budget limitato e senza muoversi da casa. In questo modo gli abiti sono acquistabili e poi scartabili velocemente e senza rimorsi perché i vestiti usati, buttati negli appositi cassonetti, hanno una seconda vita. Pochi sanno però che l’Europa ogni anno produce 5,8 milioni di tonnellate di rifiuti tessili che vengono bruciati o spediti nel deserto di Atacama (Cile), in Ghana e in Kenya. Una parte viene rivenduta nei mercati locali, mentre il resto viene buttato in discariche a cielo aperto che inquinano vasti terreni, spiagge e corsi d’acqua. Così non va! E’ necessario ripensare il nostro modo di consumare e produrre. Qualcosa si sta muovendo: a Prato partiranno i lavori per creare un centro di coordinamento per la gestione del riciclo tessile, la Francia sta pensando di imporre una tassa ai prodotti della fast fashion. E noi giovani? Noi oltre che acquisire una maggiore consapevolezza ed un comportamento più responsabile, possiamo informare, anche sui social.
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